Nelle società partecipate non si può assumere senza concorso

Italia Oggi
4 Settembre 2015
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Assunzioni nulle nelle società partecipate se non precedute da una procedura selettiva, sicché il rapporto di lavoro deve essere considerato invalido sin dall’origine, anche se al lavoratore spetta la remunerazione per il periodo lavorato.

La sentenza del Tribunale ordinario di Monza in veste di giudice del lavoro 4 agosto 2015, n. 420, è una tra le prime con le quali il giudice ordinario applica fino alle estreme conseguenze le disposizioni dell’articolo 18, comma 1, del dl 112/2008, convertito in legge 133/2008. Tale norma prevede che «le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell’articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165».

Nel caso affrontato dalla pronuncia del giudice del lavoro, un lavoratore era stato assunto come dirigente da parte di una società comunale partecipata al 100%, con contratto di lavoro a tempo indeterminato a part-time per 20 ore settimanali e aveva chiesto il risarcimento per il licenziamento a suo dire illegittimo, disposto nei suoi confronti dal datore di lavoro, proprio in relazione all’assenza di una procedura di reclutamento conforme alle disposizioni del citato datore di lavoro.

A dire del ricorrente, tale carenza non si sarebbe verificata, perché il consiglio d’amministrazione della società aveva indetto una selezione verificando i curriculum di esperti di urbanistica tra cui il proprio e aveva disposto la propria scelta per effetto dell’offerta economica del ricorrente, prodotta in applicazione del dm 4 aprile 2001. In effetti, dunque, il rapporto avrebbe dovuto essere di tipo autonomo e collegato con la realizzazione di un parcheggio multipiano.

In effetti, l’azione della società partecipata appare censurabile. Al di là delle carenze procedurali puntualmente rilevate dalla sentenza, è certamente fuori da ogni canone di corretto andamento della gestione attivare un incarico sostanzialmente in modo informale finalizzato all’assegnazione della funzione di responsabile unico del procedimento di realizzazione di un’opera pubblica, per sua natura a tempo determinato, per successivamente modificarlo in un contratto di lavoro subordinato, con qualifica dirigenziale a part-time (un controsenso, visto che i dirigenti non hanno un orario prefissato) e a tempo indeterminato, cioè ben oltre l’utilità dell’incarico da conferire.

In ogni caso, il giudice del lavoro di Monza ha respinto il ricorso, concludendo per l’assenza di una reale selezione pubblica improntata al concorso, osservando l’inesistenza di elementi per comprovare che la società avesse gestito un’effettiva procedura concorsuale, tanto che nel contratto di assunzione si dà atto che essa discende da «precedenti accordi verbali».

La sentenza, pertanto, conclude per la «totale assenza di un’evidenza pubblica sia sulla selezione, sia sui requisiti della figura professionale», tanto che l’assunzione effettuata «costituisce una violazione del principio di eguaglianza e del principio del pubblico concorso per l’accesso ai ruoli delle pubbliche amministrazioni», anche considerando che si è trattato di un tempo indeterminato, al quale non è applicabile l’articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001.

La società, dunque, ha doverosamente interrotto il rapporto di lavoro, basato su atti illegittimi, tanto che secondo il giudice del lavoro nel caso di specie «va dichiarata la nullità del contratto di assunzione a tempo indeterminato, in quanto posto in essere in violazione di norme imperative», quali l’articolo 18 citato della legge 133/2008 e dell’articolo 28 del dlgs 165/2001, che impone il concorso pubblico per l’accesso alla qualifica dirigenziale.

La nullità dichiarata dal giudice è la base per confermare la legittimità del recesso dal rapporto di lavoro e la reiezione delle domande del ricorrente.

La sentenza, invece, ha respinto la richiesta della società di riavere indietro le somme corrisposte, ritenendo applicabile l’articolo 2126 del codice civile, secondo il quale la nullità del titolo di costituzione del rapporto di lavoro non produce effetti per il periodo nel quale il rapporto ha avuto esecuzione.

«La sentenza è il primo precedente di applicazione dell’art. 18 del dl 112/2008 in materia di rapporti di lavoro», sottolinea l’avvocato Mariano Delle Cave dello Studio Legale Tonucci & Partners, che ha assistito la società pubblica nella controversia risolta dal Tribunale di Monza. «Questa norma ha natura inderogabile e obbliga le società, totalmente partecipate da una p.a., esercenti servizi pubblici locali, ad adottare meccanismi analoghi a quelli delle amministrazioni controllanti, secondo l’art. 35 del dlgs n. 165/2001. D’altronde, è coerente con quanto sempre sostenuto dalla Corte dei conti sotto il profilo della responsabilità erariale. L’art. 18 non inventa nulla. È applicazione dell’art. 97 Cost., che riguarda tutto ciò che è gestito con risorse pubbliche e per finalità pubbliche. La violazione di queste norme non è solo un problema di responsabilità contabile di chi assume, ma anche di validità del rapporto, che potrebbe essere cessato in ogni momento in quanto nullo». «Peraltro», conclude Delle Cave, «la sentenza cade in un momento storico particolar, visto che la riforma della p.a. delega il governo a intervenire sulla disciplina del personale delle partecipate. Sarà l’occasione per fare chiarezza tra processo di reclutamento, che deve essere rigorosamente pubblico, e gestione del rapporto, che è squisitamente di natura privatistica, senza applicazione del Testo unico del pubblico impiego».

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