di GIOVANNI NEGRI (dal Sole 24 Ore)
È incostituzionale il divieto di conferimento di nuovi incarichi di amministratore di società partecipate per chi ha già ricoperto nell’anno precedente analoghi incarichi. Il divieto rimane solo nelle ipotesi di provenienza politica del nominato. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza 98, scritta da Maria Rosaria San Giorgio, con la quale sono state considerate fondate le questioni sollevate dal TAR Lazio nel corso di quattro giudizi con oggetto il medesimo provvedimento assunto da ANAC, relativo alla inconferibilità di incarichi di amministratore di società di diritto privato controllate dal Comune di Genova.
Cruciale il punto del mancato rispetto della delega dove il decreto legislativo 39 del 2013 non si dimostra coerente, per la Consulta, con quanto previsto dalla legge 190 del 2012. Infatti, da un attento esame delle norme emerge che, nell’individuare gli incarichi di provenienza più critici, la legge delega si è limitata a indicare solo quelli di natura «politica», con esclusione di quelli di natura amministrativo-gestionale. Unica eccezione di provenienza non politica ostativa, quella relativa a coloro i quali «per un congruo periodo di tempo, non inferiore a un anno, antecedente al conferimento abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di diritto privato sottoposti a controllo o finanziati da parte dell’amministrazione che conferisce l’incarico». D’altra parte, ricorda la Corte, come messo in evidenza dall’Autorità anticorruzione nell’ambito della sua attività istituzionale di segnalazione e di impulso al Parlamento e al Governo, nelle cariche di presidente e di amministratore, tanto degli enti pubblici, quanto degli enti privati in controllo pubblico, «non si riscontra (…) la titolarità di funzioni di indirizzo politico (in senso stretto come ipotizza la delega del comma 50), ma piuttosto di funzioni di indirizzo politico-amministrativo (per gli enti pubblici) e di indirizzo politico “aziendale” (per gli enti di diritto privato in controllo pubblico)», aprendo quindi all’eliminazione di queste posizioni dall’elenco di quelle che comportano inconferibilità.
Una richiesta che la commissione istituita in ANAC per la revisione della disciplina sulla prevenzione della corruzione e sulla trasparenza avanzo nel 2015 proprio facendo leva su un coerente rispetto delle indicazioni della legge delega. Così, per la Corte Costituzionale, l’esigenza di garantire anche l’apparenza dell’imparzialità motiva una forma di protezione ampiamente anticipata, che trova la propria giustificazione nella natura “politica” della precedente posizione ricoperta dal funzionario, considerata potenzialmente in conflitto con l’imparzialità stessa. Un punto di caduta, che è il risultato di un bilanciamento effettuato dal legislatore delegante, che ha ritenuto di sacrificare, entro un certo limite, «le istanze pur ricollegabili a interessi costituzionalmente protetti – come l’efficienza dell’agire amministrativo e l’accesso al lavoro dei professionisti – a fronte dell’interesse a garantire l’imparzialità dell’azione amministrativa, anche nella forma ampiamente anticipata della “apparenza” di imparzialità». L’ulteriore estensione della garanzia preventiva anche ad ipotesi prive di qualsiasi percepibile collegamento con lo svolgimento di cariche o incarichi “politici” appare, sottolinea ancora la sentenza , estranea all’obiettivo della delega e finisce, anzi, per pregiudicarlo. «Sotto questo profilo, pertanto – conclude la pronuncia -, si coglie l’aspetto di maggiore frizione della legge delegata rispetto alle previsioni della legge n. 190 del 2012, in quanto l’enucleazione delle ipotesi di inconferibilità è stata estesa lungo un versante – per l’appunto, quello degli incarichi privi di connotazione politica – che non era stato voluto dal legislatore delegante.
* Articolo integrale pubblicato su Il Sole 24 Ore del 5 giugno 2024 (In collaborazione con Mimesi s.r.l)
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