Le Regioni sostengono la spesa sanitaria, di gran lunga la voce maggiore ma, soprattutto, quella con una preoccupante tendenza a dilagare. Non si tratta, naturalmente, di una situazione omogenea; il 76% del disavanzo è concetrato in poche regioni: il Lazio (il passivo sanitario rappresenta il 56% del debito finanziario complessivo accumulato) l’Abruzzo (43,6% del passivo regionale), il Molise, la Campania e la Calabria (si veda Il Sole 24 Ore del 13 luglio).
Nell’indagine dell’Università Cattolica di Milano (a cura di Americo Cicchetti e Anna Ceccarelli), di cui alcuni dati sono stati anticipati sul giornale di ieri, emergono alcuni dati allarmanti: la spesa sanitaria è cresciuta del 45,1% nel decennio del federalismo, finanziata dallo Stato a scapito dell’istruzione e del debito pubblico. E alle manovre che tendono a incidere su personale e servizi sfuggono, in realtà, settori dove la crescita è stata abnorme.
Nonostante la ridottissima crescita complessiva del Pil nell’ultimo decennio, si legge nella ricerca, la spesa sanitaria si è costantemente incrementata, generando un disavanzo cumulato di 35 miliardi, che ha contribuito pesantemente al debito pubblico. Se però consideriamo il dettaglio della spesa, ecco i dati che più colpiscono: i farmaci in convenzione sono cresciuti nel decennio 2001-2010 del 27,6 per cento, e in molti anni hanno registrato un decremento (dal 2007 al 2010). Crescita meno controllata per la farmaceutica ospedaliera, con una media del 5,8 all’anno, mentre abnorme appare la voce “beni e altri servizi”: il 70,1% in più, con una media del 7% annuo di crescita. Ancora peggio con la spesa per «altra assistenza convenzionata e accreditata»: 84,6% (l’ospedaliera convenzionata, invece, è cresciuta solo del 10% in dieci anni).
Le manovre del 2011 e 2012 incidono fortemente sul contenimento della spesa, senza intaccare, come osserva la ricerca, il principio della gratuità generale delle prestazioni. Ma, dicono gli studiosi della Cattolica, non mancano le criticità; gli interventi sono a breve termine e tralasciano settori fuori controllo: l’assistenza specialistica ambulatoriale (crescita annua del 4%), l’assistenza protesica integrativa (2%) e l’altra assistenza accreditata convenzionata (5%).
Ci sono però altri dati macro da considerare: anzitutto la spesa sanitaria italiana, in percentuale sul Pil, è da sempre tra le più basse d’Europa. Ma, rileva la ricerca, in un’ottica di sostenibilità a lungo termine, il contenimento generale della spesa pubblica non può non incidere anche su quella sanitaria. I suggerimenti della Cattolica si articolano in quattro direzioni: proseguire con la riduzione per la spesa sui beni e servizi, medical device e grandi apparecchiature elettromedicali. Però allargando l’azione ai comparti “dimenticati” ma che pesano molto, come l’assistenza specialistica e “altra” convenzionata e accreditata, l’integrativa e la protesica. Secondo, ridefinire i Lea (livelli essenziali d’assistenza) facendoli diventare elenchi di prestazioni ammesse, mentre ora è nei Lea tutto ciò che non è esplicitamente escluso. Terzo, riscrivere il patto Stato- Regioni per dettare regole di razionalizzazione del sistema. Infine, promuovere i fondi integrativi privati incrementando la detassazione.
L’INCHIESTA
Sul Sole 24 Ore di ieri sono stati pubblicati i dati relativi a spesa ed entrate tributarie regionali degli ultimi 40 anni, dai quali emerge un’impennata di 30 volte delle tasse dal 1970. Nell’ultimo decennio, comunque, con il federalismo le tasse statali sono salite da 342 a 445 miliardi
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