La riscossione dei tributi comunali naviga ancora a vista, dopo l’ennesima proroga al 30 giugno prossimo degli affidamenti ad Equitalia (Dl 210/2015).Due appaiono i nodi principali. In primo luogo, occorre stabilire con chiarezza se la riscossione appartenga alla categoria comunitaria dei servizi «a rilevanza economica», e dunque richieda il confronto concorrenziale tra imprese. Si tratta dell’argomento principale che viene utilizzato per riaffermare la gestione a termine di Equitalia, che non è soggetto controllato dai Comuni. Per questa ragione, si propone da anni periodicamente l’intervento di una sorta di consorzio obbligatorio tra Comuni, a cui il servizio andrebbe affidato in house. Si ipotizzano così forme improbabili di controllo analogo esercitato dai singoli Comuni nei riguardi di una struttura per sua natura di dimensioni ragguardevoli.È tuttavia assai dubbio che la riscossione coattiva possa ritenersi un servizio pienamente contendibile sul mercato. In questo contesto, infatti, il soggetto incaricato esercita potestà pubblicistiche. Si pensi al fermo amministrativo dei veicoli o alla possibilità di disporre un pignoramento presso terzi senza l’intervento del giudice. Tanto dovrebbe bastare per ritenere non contrastante con i principi comunitari un assetto legislativo che disponga l’affidamento della funzione a un soggetto pubblico.Un tale modello, peraltro, non dovrebbe mai essere obbligatorio per la generalità dei Comuni, dovendosi sempre lasciare aperta la porta alla scelta dell’ente di gestire in proprio la riscossione coattiva, anche avvalendosi del supporto di terzi, questi sì, scelti con gara. In altri termini, l’attuale modello non sembra in irrimediabile conflitto con le regole Ue.La seconda questione riguarda gli esuberi che si verificherebbero in Equitalia in caso di abbandono del settore. Qui però il tema non è tecnico ma politico.Urge comunque una riforma della riscossione coattiva, la cui indifferibilità va oltre l’individuazione dei soggetti abilitati. Un esempio è rappresentato dalle modalità di finanziamento del servizio, che, nel caso di Equitalia, avviene ancora, in via del tutto prevalente, tramite l’aggio, seppur ridotto al 6%. È prassi piuttosto diffusa tra i Comuni applicare l’aggio, in analogia alla cartella di pagamento, in sede di formazione dell’ingiunzione. La pretesa è inaccettabile in caso di riscossione diretta da parte dell’ente, poiché non è configurabile la remunerazione di un terzo, che è la funzione dell’aggio. Anche nell’affidamento all’esterno, l’aggio, in quanto commisurato a una percentuale degli importi riscossi, non può ritenersi un mero recupero di spese ma una prestazione patrimoniale imposta. In quanto tale, si legittima solo se previsto per legge, e ciò non accade per l’ingiunzione fiscale.Il Consiglio di Stato, nella sentenza 3413/2012, ha dichiarato l’illegittimità dell’aggio da ingiunzione, poiché la disciplina di quest’ultima sarebbe speciale rispetto a quella del ruolo. Osserva ancora il Consiglio di Stato che il divieto di oneri aggiuntivi a carico del contribuente, previsto nell’articolo 52 del Dlgs 446/1997, in caso di affidamento a terzi del servizio richiede il confronto tra i costi della gestione diretta e quelli della gestione attribuita ad altro soggetto. L’affermazione, in sé non condivisibile, potrebbe tuttavia aprire le porte a una soluzione operativa inusuale. Si potrebbero quantificare i costi operativi del Comune, derivanti dallo svolgimento della riscossione coattiva, attraverso una sorta di contabilità “industriale”. Gli importi potrebbero essere ribaltati sul debitore moroso, in ragione delle attività svolte. Le spese tabellari, così determinate, diventerebbero il punto di riferimento anche per l’affidamento all’esterno della riscossione.
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