L’ultimo infortunio nelle nomine nelle società partecipate è capitato all’Idv di Ancona. Gianni Ciotti, ex consigliere comunale (per pochi mesi) del partito di Antonio Di Pietro, mercoledì scorso si è insediato alla presidenza di Anconambiente, la partecipata del comune che si occupa di igiene urbana, e giovedì si è dimesso perché indagato per il crac dell’Adriatica manifatture. Non solo ad Ancona, però, sono giorni caldi per le nomine. Ad Aosta sono arrivati abbondantemente in tempo, e a fine giugno hanno insediato Guido Grimod al vertice dell’azienda pubblici servizi. Una poltrona quasi concorrente a quella di sindaco che ha occupato fino all’anno scorso, visto che l’azienda si occupa di quasi tutti i punti nodali nella gestione della città, dall’edilizia residenziale alla mobilità e alla sosta, dalla riscossione di alcune imposte fino alle farmacie e ai servizi cimiteriali. In molti altri comuni, invece, si sta chiudendo la corsa contro il tempo, perché le porte girevoli fra politica e società stanno per bloccarsi, almeno nei servizi pubblici locali. A chiuderle, con quasi due anni di ritardo rispetto alle previsioni iniziali, è il regolamento attuativo della riforma dei servizi pubblici locali, che dopo la firma del capo dello Stato aspetta ora solo la pubblicazione in «Gazzetta ufficiale». Preceduto da discussioni infinite e continui rimaneggiamenti, il regolamento stabilisce un principio semplice: gli ex politici non possono cambiare giacchetta e diventare amministratori delle aziende locali. Per passare da una poltrona all’altra, dovranno aspettare almeno tre anni. La nuova regola non si perde in distinzioni e si applica a tutti: sindaci e presidenti di provincia e assessori, certo, ma anche consiglieri, sia di maggioranza sia di opposizione, spesso oggetto di accordi fra le parti oppure favoriti nella carriera da un rovescio elettorale dei governi locali. Di più: basta aver occupato una seggiola in una circoscrizione per vedersi costretti a dimenticare qualsiasi opportunità in un consiglio d’amministrazione per i tre anni successivi. La novità fa parte del pacchetto-liberalizzazioni con cui la riforma prova ad aprire al mercato le società di comuni e province, cercando di mettere un freno agli affidamenti «fatti in casa» senza passare dalle gare fra più concorrenti e imponendo agli enti locali di cedere quote nelle società che mantengono gli affidamenti diretti. Lo stop al “riciclaggio” dei politici locali mette nel mirino una pratica diffusa a ogni latitudine del paese. La Gesip, la società del comune di Palermo che si occupa di impianti pubblici e che, perdendo 900mila euro al mese, è a un passo dal fallimento, è oggi nelle cure di Pippo Enea, uomo di punta dell’Udc locale e presenza fissa nelle giunte che si sono succedute a Palazzo delle Aquile fra 2001 e 2009 (nel tempo ha ricoperto le deleghe a lavoro, decentramento, patrimonio immobiliare, sanità e servizi cimiteriali). L’Amat, che gestisce il trasporto pubblico, è invece presieduta da Mario Bellavista, consigliere circoscrizionale (anche lui Udc) più volte candidato alla provincia. A Bari l’Amtab (trasporti pubblici) è guidata da Antonio Di Matteo, ex consigliere Prc, mentre alla Multiservizi il prefetto Giovanni D’Onofrio ha appena sostituito Vito Ferrara, consigliere vicino al sindaco. Anche nella storia delle partecipate milanesi, comunque, non mancano gli esempi di salto di campo dalla politica alle società, come quelli di Roberto Predolin, ex assessore al commercio e presidente di Sogemi prima e Milano ristorazione oggi, o di Cesare Cadeo, che è stato assessore provinciale allo sport e poi presidente di Milano Sport. Il filtro introdotto dal regolamento non sarà sempre efficace: nulla vieterà, per esempio, gli accordi incrociati fra diversi enti per condurre, per esempio, un ex politico provinciale in una società del comune, e i confini dell’applicazione del regolamento lasciano fuori settori ricchi: una carica elettiva, quindi, chiuderà a chi la ricopre le porte dell’azienda dei trasporti, ma non di quella del gas. L’attenzione del provvedimento non si ferma comunque alla politica, e punta dritto ai conflitti di interesse che si possono generare nella gestione dei servizi e nelle commissioni di gara. Queste ultime, oltre che agli ex amministratori locali, si chiudono anche nei confronti di chiunque abbia ricoperto funzioni o svolto incarichi tecnici relativi al servizio oggetto della gara. Dirigenti e responsabili dei servizi in comuni e province, poi, devono rimanere lontani dalla gestione dei servizi dati in affidamento, con un divieto che si estende anche ai loro parenti fino al quarto grado.
Nel cda delle partecipate porte chiuse all’ex politico
SERVIZI PUBBLICI LOCALI – Liberalizzazioni
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