«In merito all’accesso e all’utilizzo del Fondo di rotazione, si rileva che la misura dell’anticipazione prevista nel piano è superiore a quanto ad oggi concedibile». La frase è contenuta nella lettera inviata dal ministero dell’Interno ai Comuni che hanno aderito nella prima metà del 2013 al fondo anti-dissesto previsto dal Dl 174/2012 per raccogliere i sindaci prima che piombassero nel default, e in pratica significa che tutti questi piani sono da rifare. Nella colonna delle entrate, infatti, viene conteggiato un assegno statale spesso molto più generoso di quello realmente a disposizione, per cui i progetti sono irrealistici e per raggiungere l’equilibrio, obiettivo obbligatorio per chi aderisce alla procedura, bisogna trovare altre entrate o tagliare più spese del previsto. Come mai?
La disciplina operativa dell’antidissesto, scritta nel Dm varato dal ministero dell’Interno l’11 gennaio scorso, prevede che, entro 10 giorni dalla richiesta del Comune di ottenere l’aiuto statale, il Viminale comunichi l’importo massimo ottenibile (articolo 4, comma 2): con questo dato in mano, l’amministrazione può infatti accendere la calcolatrice e scrivere il piano necessario a riportare i conti in sicurezza, ripagando nel tempo anche l’anticipazione statale.
Tanto ordine però non si concilia con il caos che domina il 2013 della finanza locale, e che viene alimentato da un diluvio di interventi per ritoccare l’Imu, tagliare fondi, restituire risorse e così via. Nel frullatore è finito anche il fondo per le anticipazioni ai sindaci in difficoltà, in particolare con il taglio drastico (150 milioni di euro) subìto a giugno per correggere una delle tante storture della disciplina Imu, quella che imponeva ai Comuni di pagare l’imposta (versandone anche il 50% allo Stato nel 2012) sugli immobili di loro proprietà. Il taglia e cuci, però, ha naturalmente cambiato le carte in tavola, e ha anche impedito al ministero di seguire il calendario previsto dalle regole per indirizzare i sindaci verso bilanci strutturalmente in equilibrio. Morale della favola, i soldi non ci sono, e i piani vanno rifatti.
Il «buco» che si è aperto nei progetti varati dai Comuni nel 2013 non è di poco conto. Il Dl 174/2012 prometteva ai sindaci un massimo di 300 euro ad abitante, nel 2012 città come Napoli e Catania avevano ottenuto 280 euro, e le amministrazioni si erano regolate su questi precedenti modulando le richieste in base alle proprie esigenze. Dopo i tagli, però, a disposizione ci sono meno di 115 euro ad abitante, cioè il 62% in meno rispetto all’anno scorso. Anche perché, nel frattempo, l’allungamento delle procedure per i piani 2012 ha tenuto lontane dalla cassa le restituzioni da parte degli enti che avrebbero dovuto rialimentare il fondo rotativo.
Come se ne esce? Difficile dirlo, anche perché i piani di rientro già prevedono l’innalzamento al massimo di aliquote e tariffe, per cui su quella via non ci sono più margini. Occorre quindi rivedere i tagli di spesa, aumentare il recupero di evasione, e soprattutto fare in fretta, anche perché non è chiaro se l’obbligo di riscrittura dei piani fa ripartire i termini per la loro presentazione.
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