Il debutto del federalismo fiscale e i tagli della manovra correttiva viaggiano davvero su binari paralleli? Se messa così la questione sembra troppo tecnica, una volta tradotta in cifre emerge in tutta la sua chiarezza: nell’Italia federalista, comuni, province regioni dovranno scordarsi per sempre i 7 miliardi tagliati dalla manovra correttiva, oppure il sacrificio è una tantum e le risorse torneranno una volta partita la riforma? Sul tema, il confronto fra governo e amministratori locali si esercita da mesi, ma la risposta non è ancora blindata. La manovra, dopo più di una incertezza, promette di “sterilizzare” i tagli quando si faranno i conti finali del fisco federale, spiegando che «in sede di attuazione» del nuovo sistema «non si tiene conto di quanto previsto» nei commi che sforbiciano i trasferimenti ai territori. La stessa sicurezza, però, non torna nella relazione tecnica che accompagna il decreto sul federalismo regionale e provinciale. Parlando delle province, per esempio, il testo bollinato dalla ragioneria generale spiega che i trasferimenti statali da cancellare e compensare con l’accisa sulla benzina sono di 1.139 milioni nel 2012 e di 1.151 milioni nel 2013. «Applicando la riduzione dei trasferimenti statali» prevista dalla manovra, aggiunge però la relazione, «gli importi dei trasferimenti suscettibili di fiscalizzazione ammonterebbero, a legislazione vigente, a 720 milioni di euro per il 2012, e a 732 per il 2013». Quindi? Stando alla lettera della manovra correttiva, quella riportata nella relazione all’ultimo decreto federalista sarebbe poco più di una notazione oziosa, priva di effetti, ma c’è da scommettere che la sua comparsa in un documento così pesante provocherà più di un mal di pancia nelle sedi in cui governo ed enti locali si confrontano sull’incrocio pericoloso di federalismo e manovra. Gli spettatori più attenti della complessa partita in corso sono gli amministratori del Mezzogiorno; a Milano, per esempio, i trasferimenti statali alle province valgono 3 euro ad abitante, a Napoli 29. Le tabelle in questa pagina mostrano due ipotesi di applicazione proporzionale dei tagli da 300 milioni previsti dalla manovra correttiva per il prossimo anno. I numeri che accompagnano ogni provincia sono la traduzione di un taglio lineare, proporzionale all’entità dell’assegno statale ricevuto ogni anno: l’ipotesi nella colonna più a destra applica la tagliola solo ai trasferimenti «strutturali» (fondo ordinario, perequativo, consolidato e compartecipazione Irpef), l’altra la estende a tutte le voci in arrivo dallo stato (compreso il fondo sviluppo investimenti). Il primo caso “salverebbe” dai sacrifici una quindicina di province, tutte del Centro-Nord, tra cui compaiono big come Milano, Torino, Brescia, Verona, Bologna e Firenze. Nell’altra ipotesi anche loro parteciperebbero ai tagli, con somme però contenute che non arrivano mai al milione di euro. Molto diverse le cifre in gioco a Napoli (20 milioni), Palermo (fra 10 e 15) o Catania (fra 8 e 13). Per evitare la sperequazione, ai tavoli tecnici si è pensato a un meccanismo che possa neutralizzare il taglio all’interno dell’obiettivo del patto di stabilità, rispalmando poi i sacrifici su tutto il territorio. Una soluzione che però, insieme agli squilibri, cancellerebbe anche gli elementi di meritocrazia pensati nella manovra. La rotta a Sud impressa dai tagli verrebbe infatti accentuata dai parametri di “virtuosità” che la manovra chiede di applicare nella distribuzione dei sacrifici. L’assegnazione delle cifre da ridurre dovrebbe colpire di più chi spende troppo per il personale, e chi non è in grado di vantare indici elevati di autonomia finanziaria. In entrambi i casi, le province settentrionali possono mostrare le pagelle migliori: in Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Veneto, per esempio, le buste paga dei dipendenti assorbono meno di un quarto della spesa corrente, mentre Abruzzo, Sicilia e Molise dedicano alle stesse voci più del 40% delle uscite, e la Calabria si ferma poco sotto. Una geografia simile, con qualche variabile legata ai contributi delle regioni autonome, si incontra nell’autonomia finanziaria, che in Lombardia arriva al 71,4% e in Basilicata si ferma al 27,2 per cento.
Napoli «regina» dei tagli
Il nuovo fisco – Tra riforma e manovra
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