ROMA. Dall’atto «dovuto» all’atto «voluto». In questo che sembra un gioco di parole si riassume il cambio di passo che Mario Monti prova a dare al suo Governo. Passata la fase delle decisioni determinate dall’emergenza e dagli impegni già presi dal precedente Esecutivo, il premier annuncia di voler passare a quella delle riforme: misure a cui, con senso giornalistico, attribuisce da solo il titolo «cresci-Italia». Il punto è che con quelle misure Monti non deve convincere solo gli italiani ma l’Europa e gli Stati Uniti, i grandi fondi di investimento e le agenzie di rating, il Fmi e la Germania.
Lo sforzo è incrociare il calendario italiano con quello europeo, programmare i Consigli dei ministri con i vertici Ue che diventano la ‘commissione d’esame’ dell’Italia di Monti. E così che la «prima tranche di riforme, cioè liberalizzazioni e mercato del lavoro» arriveranno prima dell’Eurogruppo del 23 gennaio e Consiglio Ue del 30 mentre un’altra tranche guarderà al Consiglio di febbraio. Parla di «prime deliveries» il 13 gennaio e poi sfocia sul classico «avanzeremo con un andante con brio nelle settimane successive». In mezzo una fitta agenda di incontri: il 6 con Sarkozy, il 18 con Cameron, un bilaterale a Roma con Merkel e Sarkozy e infine l’incontro a Washington con Obama. Un mese di fatti e parole che serviranno alla missione di «modificare pregiudizi sbagliati che l’Europa e il mondo hanno verso di noi».
Nella conferenza stampa di fine anno durata oltre due ore, Monti ha smentito chi già metteva in conto nuove manovre: «Nessuno pensi che ne occorra un’altra né che ora però ci possa essere larghezza finanziaria». E ha giustificato quella appena varata e «promossa dalla Commissione Ue» che molti economisti hanno bocciato perché recessiva. «Non farla avrebbe prodotto una recessione esplosiva». Non è stato parco di espressioni efficaci e colorite, ha riconosciuto di essere una «persona e non solo un robot» a cui è stato chiesto «di fare una corsa da fermo, a ostacoli e con handicap». Cosa rischiavamo? La Grecia. «Eravamo sull’orlo di un burrone senza parapetto, c’erano molti avvoltoi nel cielo». Seguendo la sua metafora, fa capire che gli avvoltoi ancora volteggiano sui cieli italiani perché «la situazione è stata acciuffata per i capelli».
Per il 13 gennaio è previsto un Consiglio dei ministri che varerà la prima tranche di misure, liberalizzazioni «incalzanti» e lavoro con un confronto con i sindacati «ma rapido». La politica di crescita «non farà molto uso di denaro pubblico ma di equità come leva» e lui farà di tutto «per evitare tensioni sociali» mentre sulla riduzione del debito «non escludo niente» né fa annunci. Nemmeno quando torna nel suo abito da professore e mostra un grafico con l’andamento degli spread e l’ultimo picco registrato per la «delusione» dei mercati per l’ultimo Consiglio europeo.
«Hanno percepito che non c’erano abbastanza firewalls», spiega il premier che si prepara a negoziare cambiamenti per «aggiungere risorse all’Efsf» e correggere quel fiscal compact che rischia di essere troppo punitivo per l’Italia. E da convincere c’è soprattutto la Germania. «Non ho complessi verso i tedeschi, credo di essere stato nominato per dare risposte all’opinione pubblica tedesca, sono considerato il più tedesco degli economisti italiani: un giornale mi ha definito il perfetto genero perché parlo poco, vesto in modo serio e banale, non faccio rumore». Non sono proprio complimentoni ma nemmeno Monti si risparmia con i tedeschi: «Condivido che l’Ue sia fondata sulla disciplina del bilancio ma non solo su quello».
Il fatto è che deve barcamenarsi tra un’opinione pubblica tedesca che apprezza il «perfetto genero» e quella italiana che sembra già provata dai sacrifici. «Invece c’è grande comprensione per questo sforzo comune – ribatte – e il gradimento per il Governo che sulla carta dovrebbe essere zero, è invece di molto sopra lo zero». Forse è anche questo che dà fastidio ai partiti che temono prossime candidature. «Non c’è questa eventualità in vista: sarei molto sorpreso se rappresentanti della politica vera potessero essere preoccupati». Berlusconi lo nomina due volte, non sempre facendolo brillare. «Un anno fa disse che non serviva una manovra correttiva, ne sono arrivate cinque solo l’ultima è mia» e poi «auspicò un bagno di ottimismo, lo sforzo che facciamo può giustificare moderato ottimismo». Il suo futuro non è in nessuna stanza della politica, nemmeno al Quirinale «non è un tema al quale penso minimamente» ed esclude rimpasti. Un cenno alle emozioni: «Il mio ingresso a Palazzo Madama da senatore a vita» ma sapeva di essere di passaggio. «Se uno si fosse candidato sarebbe stato un pazzo ma quando te lo chiede il capo dello Stato..». E una battuta, a commento della denuncia di un giornalista su sprechi avvenuti all’Agenzia del Territorio tra i quali l’acquisto di 30 uova di struzzo decorate: «Il concetto di uova di struzzo mi preoccupa perchè la politica dello struzzo non è quella che vogliamo condurre».
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