In attesa di conoscere nel dettaglio la portata del decreto sviluppo che ora potrebbe cambiare le regole, si può osservare che il quadro composto dagli articoli 33 e 33-bis del Dl 98/2011 conferma la scelta del nostro legislatore di privilegiare lo strumento del fondo d’investimento per valorizzare gli asset pubblici. In questo caso si è optato per una struttura con un fondo nazionale, il cui ruolo sarà quello di promuovere e finanziare l’avvio di più fondi locali dedicati ai singoli interventi sul territorio. È possibile che il Dl sviluppo modifichi la forma di questa struttura, optando per una struttura unica di fondo nazionale che potrà essere declinata in più comparti per soddisfare specifiche esigenze locali di valorizzazione degli asset pubblici.
Il fondo nazionale
In base all’attuale testo della norma, il fondo nazionale sarà gestito da una Sgr costituita ad hoc dal ministero dell’Economia e le quote di partecipazione saranno sottoscritte da enti previdenziali, dalla Cassa depositi e prestiti e da altri investitori istituzionali appartenenti alla categoria del capitale cosiddetto paziente, con lo scopo di immettere una parte dell’equity necessaria per realizzare gli interventi dei fondi locali. Si tratterà dunque di un fondo di lunga durata, stabile e non opportunistico. È facile ipotizzare che, come per il fondo nazionale di housing sociale, la governance resterà saldamente nelle mani della Sgr e a tutti i partecipanti saranno riconosciuti diritti patrimoniali omogenei. Questo del resto è l’assetto che si presta meglio a garantire la funzione di affidabile e stabile sostegno alle operazioni dei fondi locali, scritta nel Dna del fondo nazionale.
I fondi gestiti da Sgr private
Più dinamici appaiono i fondi dedicati ai singoli interventi sul territorio gestiti da Sgr private ai quali – sotto la regia del Demanio – saranno apportati beni immobili pubblici da un lato e risorse finanziarie liquide dall’altro, per mutare le destinazioni d’uso degli asset e finanziare le trasformazioni strumentali alla loro valorizzazione. In questi fondi, che sono necessariamente opportunistici, dovendo massimizzare la valorizzazione degli immobili pubblici, giocano un ruolo importante tre tipologie di quotisti: gli enti apportanti, gli enti responsabili per il mutamento della destinazione urbanistica e gli investitori (fra cui il fondo nazionale). È interessante, dunque, valutare quale assetto di governance e quali diritti patrimoniali distinti si possono ipotizzare per agevolare al massimo la riuscita dei singoli progetti. Partendo dagli aspetti economici, si può ipotizzare che a ciascuna tipologia di soggetti coinvolti sia destinata una classe speciale di quote di partecipazione del fondo locale, il cui rendimento differenziato da quello delle altre classi di quote, sia in grado di allineare il contributo e il ruolo di ciascuno di essi con la buona riuscita del progetto.
Dato che il fondo locale deve essere gestito dalla Sgr in autonomia rispetto ai quotisti, è probabile che la governance ricalcherà quella di alcuni fra i progetti più evoluti di fondi di housing sociale. In questa ipotesi, il punto nodale è costituito dalla predisposizione di un business plan accurato da parte della Sgr nella fase di avvio, da sottoporre all’approvazione dei partecipanti al momento della sottoscrizione delle quote. Dopo questa fase, la Sgr persegue la realizzazione del business plan in autonomia e le prerogative di governance dei quotisti prendono corpo solo in caso di scostamento dal business plan, ovvero nel caso in cui la Sgr perda di vista i vincoli finalistici del fondo. In questo caso i quotisti – con il fondo nazionale che vigila – possono avere a disposizione dell’assemblea dei partecipanti vari rimedi, fino alla sostituzione della Sgr.
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