Milano stacca tutti nella classifica dei redditi

Imposte – La graduatoria 2010

Il Sole 24 Ore
28 Marzo 2011
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Milletrecento chilometri di strada, 40 mila euro all’anno: la distanza tra il Comune più ricco (Basiglio, in provincia di Milano) e quello con i redditi più bassi (Mazzarrone, Catania) si misura anche con i dati appena pubblicati dal dipartimento delle Finanze sull’addizionale comunale all’Irpef. La geografia delle tasse spinge in alto i grandi centri del Nord e allontana dalle prime posizioni della classifica le città del Sud e i Comuni-polvere, che spesso possono contare su poche decine di contribuenti. Tra i capoluoghi, Milano, Bergamo e Monza si confermano in testa, mentre i capoluoghi delle nuove province affollano il fondo della lista. Un’Italia a due velocità, dunque, che emerge chiaramante anche dall’analisi elaborata dai tecnici del Dipartimento sulla base dell’imponibile 2009 dichiarato con il 730 e Unico 2010 ai fini delle addizionali comunali e regionali Irpef. Non si tratta, quindi, del reddito medio di tutti di contribuenti Irpef, ma del reddito denunciano dai soggetti tenuti a versare l’imposta. Restano fuori, in pratica, coloro che sono riusciti ad azzerare l’Irpef, grazie a esenzioni e detrazioni: 10,5 milioni di contribuenti su 41,5. Il risultato è una fotografia città per città degli italiani che denunciano introiti tassabili con l’Irpef. Una fotografia che sfuma leggermente le differenze reddituali tra Nord e Sud, e fa risaltare invece la maggiore “densità” di contribuenti nelle zone più ricche del Paese. Ad esempio, il reddito medio calcolato su tutti i contribuenti va dai 13.860 euro della Calabria ai 22.430 euro della Lombardia, con uno scarto del 61 per cento. Il reddito imponibile ai fini delle addizionali, invece, va da un minimo 19.350 euro in Basilicata a un massimo di 25.810 euro nel Lazio, con uno scarto del 33 per cento. Come dire: se si guardano solo i soggetti davvero tenuti a pagare l’Irpef, la distanza in termini reddituali si accorcia. Il divario si allarga, al contrario, se si rapporta il numero di questi soggetti alla popolazione cittadina. A Siena pagano l’Irpef 67 persone su 100, conteggiando tutti i residenti, bambini e anziani compresi. A Barletta e Andria, invece, ci si ferma a quota 34, praticamente la metà. Dati come questi fanno subito pensare al lavoro nero, ma l’equazione immediata con l’evasione fiscale non è corretta. Di fatto, al Sud i redditi sono più bassi, e questo rende molto più facile rientrare nell’area “a Irpef zero”. Vuoi perché le detrazioni su lavoro dipendente e carichi di famiglia crescono al diminuire del reddito, vuoi perché è più semplice ridurre, fino ad azzerare, l’imposta con altre detrazioni. Inoltre, incide il maggior numero di figli piccoli e il maggior tasso di disoccupazione giovanile e femminile registrato nel Mezzogiorno rispetto all’Italia del Centro-Nord. Rispetto al 2005 la percentuale di soggetti che devono pagare l’Irpef è leggermente diminuita in circa metà dei capoluoghi di provincia. Il calo è per lo più concentrato al Nord – Brescia, Vicenza, Modena e Pordenone hanno perso l’1,5% dei contribuenti – ed è legato a doppio filo alla crisi economica. Gli aumenti, invece, si concentrano al Sud, e dipendono probabilmente da un maggiore grado di compliance. Tutti questi dati si prestano anche a una lettura in chiave federalista, perché dove è più basso il reddito soggetto alle addizionali, la leva dell’autonomia fiscale è meno efficace. Milano, ad esempio, può contare su una base imponibile di 27,3 miliardi, che equivalgono a 21.100 euro per abitante. All’estremo opposto della classifica, Andria si ferma a 5.800 euro. Facile capire, allora, che per ottenere uno stesso incremento di gettito pro capite a Milano basterebbe un ritocco dell’addizionale, mentre ad Andria servirebbe uno scossone.

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