Quando hanno visto i numeri, i revisori dei conti del comune di Napoli hanno voluto mettere nero su bianco la loro «viva e intensa preoccupazione», perché nel preventivo 2010 «il saldo di parte corrente è notevolmente peggiorato», fino a far apparire lo spettro di «conseguenze irreparabili». Difficile accusarli di allarmismo isterico: nel consuntivo 2008 i conti di Palazzo San Giacomo hanno chiuso a +7,6 milioni, nel 2009 prevedevano un disavanzo da 165 milioni che sono diventati 195 a dicembre. Il preventivo 2010 parte da -195 milioni: dove si arriverà a fine anno? Se vogliono consolarsi, i revisori napoletani possono considerare il fatto che che non sono gli unici in Italia a tremare quando guardano i conti. L’equilibrio di parte corrente, cioè il primo indicatore sulla salute delle gestioni locali, butta male quasi ovunque: nei preventivi di quest’anno i capoluoghi di provincia sommano da soli un “disavanzo” complessivo da 900 milioni di euro, e quando si arriva al consuntivo in genere la musica peggiora. Che cosa sta accadendo ai bilanci dei municipi italiani? Dipende, perché ognuno ha la sua storia, il cui minimo comun denominatore è la sofferenza nei conti. La tabella misura l’equilibrio ordinario, cioè il rapporto fra le entrate stabili e le spese fisse di parte corrente. In un bilancio davvero in equilibrio, queste due voci pareggiano senza bisogno di ricorrere a entrate straordinarie; è il classico principio del «buon padre di famiglia», che sa di non poter vendere il televisore per pagare l’affitto, perché l’affitto si paga tutti i mesi. Nel paese delle deroghe, anche questa regola aurea ha trovato le sue buone eccezioni, grazie alle leggi che per esempio fino a oggi hanno permesso di destinare alle spese correnti il 75% degli oneri da urbanizzazione. È un meccanismo perverso, che per anni ha fatto puntellare i bilanci con entrate aleatorie e che concorre a spiegare molta frenesia edilizia qua e là per l’Italia; nelle regole per il 2011 il governo vuole cancellare questa deroga, o almeno ridurla drasticamente (si parla di lasciare alle spese correnti non più del 25% degli oneri di urbanizzazione), e l’allarme nelle ragionerie dei comuni è al massimo. Le ragioni sono evidenti se si guarda la tabella a fianco. Le entrate straordinarie aiutano 86 capoluoghi di provincia sui 103 di cui sono disponibili i dati, e anche se si considera “fisiologica” una loro incidenza fino al 2-3% delle spese correnti, almeno il 40% delle città è fuori rotta. A Napoli l’affannoso tentativo di far quadrare i conti abbia portato il preventivo a ipotizzare il miracolo: le alienazioni, che negli ultimi consuntivi non hanno mai superato i 44 milioni l’anno, nel 2010 dovrebbero moltiplicarsi per otto e schizzare a 222,6 milioni, aumentando quindi le plusvalenze che possono aiutare a raggiungere il pareggio. Del resto, servono entrate extra per coprire il 12,3% delle spese, e i revisori parlano apertamente di rischio crack. Numeri non troppo diversi tornano a Parma, dove le entrate straordinarie servono a finanziare l’11,5% delle spese correnti e dove i vertici comunali sono finiti sotto inchiesta per una serie di consulenze attivate fra 2003 e 2009. Gli eventuali incarichi troppo allegri, per i quali la Procura accusa di abuso d’ufficio il sindaco Pietro Vignali e il suo predecessore Elvio Ubaldi, non bastano però ha spiegare un “eccesso” di spesa da 24 milioni, strutturalmente superiore al livello di copertura garantito dalle entrate stabili. Ai primi posti nella graduatoria degli “squilibri” si incontrano poi La Spezia, Agrigento, Messina e Alessandria, ma anche le «capitali» del Nord Torino e Milano. In qualche caso a salvare i conti è l’avanzo di amministrazione, ma tutte queste città sono destinate a guardare il 2011 con più di una preoccupazione. Patto a parte, l’anno prossimo promette una sforbiciata ai trasferimenti statali (1,5 miliardi in meno) e, come accennato, una stretta al ricorso alle entrate straordinarie. In un quadro come questo, o si tagliano le spese o si salta. I (pochi) numeri in negativo che si incontrano in fondo alla graduatoria si spiegano invece con qualche picco di entrata (per esempio da multe), anche se il caso di Vibo Valentia appare decisamente fuori linea e impone una verifica ulteriore sulla grado di «fedeltà» del certificato preventivo.
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