Il caso riguarda l’ex sindaco e alcuni ex amministratori del Comune di Nardodipace, in provincia di Vibo Valentia, sciolto a fine 2011 dopo che era emerso il peso della criminalità organizzata sulla politica locale. Nell’ottobre 2013 il Tribunale di Vibo Valentia aveva dichiarato incandidabile l’ex sindaco, che si era però opposto al provvedimento sulla base del fatto che nei due anni trascorsi tra lo scioglimento e la decisione del Tribunale si erano già svolti in Calabria due turni elettorali: grazie al ricorso, l’ex sindaco si è potuto ripresentare un mese dopo alle elezioni nello stesso Comune, e si è reinsediato alla guida dell’ente dopo la vittoria nelle urne. Nel luglio 2014 si è pronunciata la Corte d’appello di Catanzaro, che proprio sulla base delle elezioni amministrative tenute in regione nei due anni precedenti ha ritenuto inapplicabile l’incandidabilità.
A smontare questa interpretazione interviene ora la Cassazione, che nella sentenza 18696/2015 depositata ieri fissa un campo di applicazione dell’incandidabilità più ampio di quello individuato dalla Corte d’appello. Quando diventa definitiva, spiega la suprema Corte, la sanzione opera «per tutti i (primi, ndr) turni elettorali successivi» anche se «nella stessa regione si siano svolti uno o più turni elettorali di identica o differente tipologia)» tra il giorno dello scioglimento per mafia e quello della dichiarazione definitiva di incandidabilità. È proprio quest’ultima, aggiunge la Corte, a far partire la “conta” delle elezioni vietate ai diretti interessati. L’incandidabilità opera infatti solo quando non arriva all’ultimo grado di giudizio (o non è impugnata): se per cancellarla bastasse un turno elettorale prima della dichiarazione definitiva, la sanzione finirebbe per non operare mai.
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