Fra tutti i beni comuni, quelli cioé che appartengono all’intera collettività e vanno considerati quindi inalienabili, i parchi pubblici sono (insieme alle oasi naturali e marine) i più preziosi per l’umanità. Non solo ovviamente per la difesa dell’ambiente e della salute. Ma anche perché, essendo cespiti praticamente irriproducibili, costituiscono un patrimonio di valore inestimabile, unico e irripetibile sia per le generazioni presenti sia per quelle future. Non c’è bisogno dunque di essere ambientalisti, più o meno estremisti, massimalisti o catastrofisti, per insorgere contro i tagli alla gestione dei parchi che il governo intende introdurre attraverso la manovra finanziaria. Dopo aver raccontato agli italiani la favola che la crisi ormai era passata e anzi non c’era mai stata perché (come vagheggia tuttora il nostro presidente del Consiglio) siamo il Paese che sta meglio in Europa, ecco che la mannaia della maggioranza di centrodestra minaccia di abbattersi sulla principale ricchezza nazionale: l’ambiente, il territorio, il paesaggio. E per di più, con immediate ripercussioni sull’industria del turismo che resta pur sempre la nostra risorsa economica primaria. Su una “voce” complessiva di circa 50 milioni di euro all’anno, equivalente ad appena un caffè in dodici mesi per ogni italiano, il dimezzamento dei fondi per le aree protette previsto dal governo non può essere soltanto un taglio, una misura di carattere finanziario. Quali che siano le necessità e le intenzioni effettive, appare in realtà come una punizione, uno sfregio o addirittura un atto di vandalismo contro ciò che resta del Belpaese. Non c’è proporzione infatti tra il risparmio e il danno, tra il vantaggio contabile e la perdita ambientale: tanto più che l’abbandono o la chiusura dei parchi pubblici aprirebbero inevitabilmente la strada ai bulldozer della speculazione edilizia e alle ruspe dello sfruttamento indiscriminato. A meno che non sia proprio questo l’obiettivo inconfessato della scure governativa. Le aree protette sono un giacimento di boschi, alberi, piante, fiori, coste e spiagge, fiumi, laghi e ruscelli. L’habitat naturale di animali selvaggi e uccelli, stanziali e migratori. Un deposito, insomma, di quella biodiversità celebrata proprio quest’anno a livello internazionale. E dunque, per tutti noi cittadini di questo Paese, un “caveau” al pari di quello in cui la Banca d’Italia custodisce le riserve d’oro. Ma si può compromettere un patrimonio del genere per un caffè a testa all’anno? Valgono di più i parchi pubblici o le famigerate “auto blu” della casta? E perché, prima di dimezzare le risorse per le aree naturali protette, non si dimezza il numero dei parlamentari e dei loro portaborse; quello dei consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali; o magari i rispettivi emolumenti e le relative indennità? L’assalto ai parchi è l’ultima invasione barbarica a cui dobbiamo assistere sotto il berlusconismo. L’ultima in ordine di tempo, ma auguriamoci che sia l’ultima in assoluto.
L’ultima invasione barbarica
Ambiente
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