La partecipazione dei comuni all’accertamento di imposte erariali è una disciplina già esistente nell’ordinamento (articoli 44-45 del Dpr 600/1973) ma che è rimasta inattuata per ragioni politiche e tecniche. I comuni finora non hanno avuto l’interesse e l’organizzazione tecnica adeguata per trasmettere agli uffici competenti dati e notizie rilevanti per l’accertamento dei redditi e proporre aumenti rispetto alla proposta d’accertamento fatta dall’ufficio. L’origine di questa disciplina inattuata è molto interessante dal punto di vista storico e politico. Quando con la riforma avviata con la legge delega del 1971 fu soppressa l’imposta di famiglia i comuni si lamentarono di essere stati spogliati della loro potestà di imposizione. Si cercò così di rimediare alla perdita di potere impositivo con la proposta di far collaborare gli enti locali all’accertamento delle imposte sui redditi erariali e alla partecipazione al gettito. Con la riforma la collaborazione fu limitata all’accertamento, nella quale comparve, anzi ricomparve, un istituto che era nato nel 1945 e che oggi, con il decreto sulla manovra, viene reintrodotto, “il consiglio tributario”. Il “consiglio tributario” non ha mai funzionato dopo la riforma del 1973 perché mai regolamentato e indefinito nei poteri e nella composizione. L’istituzione dei consigli tributari è ora obbligatoria per i comuni con popolazione superiore a 5mila abitanti; i comuni con popolazione inferiore ai 5mila abitanti, laddove non abbiano già istituito il consiglio tributario, sono tenuti a organizzarsi in consorzio. Dalla vecchia disciplina sono ricavate alcune disposizioni: l’agenzia delle Entrate mette a disposizione dei comuni le dichiarazioni dei contribuenti residenti. Il comune di domicilio (o il consorzio) segnala elementi di integrazione delle dichiarazioni. L’Agenzia, prima dell’emissione di un accertamento, inviano una segnalazione ai comuni di domicilio dei soggetti passivi; il comune di domicilio fiscale del contribuente, con riferimento agli accertamenti ricevuti dall’ufficio comunica entro 60 giorni da quello del ricevimento segnalazioni di ogni elemento in suo possesso utile alla determinazione del reddito complessivo. Inoltre ai comuni vengono trasmesse anche in via telematica le dichiarazioni relative ai contribuenti residenti. Inoltre possono essere individuate ulteriori materie per le quali i comuni partecipano all’accertamento fiscale e contributivo. La partecipazione è incentivata mediante il riconoscimento di una quota del 33% delle maggiori somme relative a tributi statali riscosse a titolo definitivo a seguito dell’intervento del comune che abbia contribuito all’accertamento, nonché delle sanzioni civili applicate sui maggiori contributi riscossi. Insomma l’incentivo è correlato al vantaggio dello Stato ottenuto dalla collaborazione del comune. Il che richiede un calcolo da operare all’interno della intera imposta riscossa. La giustificazione dell’incentivo è configurata nella legge come potenziamento dell’azione di contrasto all’evasione fiscale e contributiva e come attuazione dei principi di economicità efficienza e collaborazione amministrativa. Proposizioni, come si vede, più da lavori preparatori che da testi di legge avente valore normativo. I tributi sui quali calcolare la quota del 33% delle maggiori somme relative a tributi statali riscosse a titolo definitivo sono individuati con un decreto del ministero dell’Economia, di concerto con il Lavoro, e d’intesa con la Conferenza unificata. Questa disciplina, però, si potrà attuare in un tempo non breve. I comuni avranno bisogno di una loro organizzazione. Ogni comune dovrà avere una sua burocrazia fiscale per la collaborazione in esame che sarà più o meno robusta a seconda della grandezza del comune, cioè del numero degli abitanti. Il funzionamento sarà dato dalla sensibilità politica dei comuni e dalla preparazione dei funzionari che dovranno conquistare una dimestichezza che oggi non hanno con gli elementi da accertare. Ci vorrà del tempo per lo sviluppo di una attività complessa per il legame che potrà avere con altri poteri tributari che potranno essere attribuiti ai comuni dall’attuazione del federalismo fiscale.
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