Lo Stato ostaggio delle regioni. Strada sbarrata all’adozione di atti amministrativi nelle materie a competenza concorrente se manca il placet dei governatori. E il fatto che vi siano esigenze impellenti o che si rischi di provocare danni alle casse dello Stato non sono ragioni buone per non rispettare questi principi.
Con la sentenza n. 39 depositata ieri, la corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di una norma del decreto sviluppo n. 5 del 2012: quell’articolo 61, comma 3 per effetto del quale in caso di mancato raggiungimento dell’intesa richiesta con una o più regioni per l’adozione di un atto amministrativo da parte dello Stato, il Consiglio dei ministri, se ricorrono gravi esigenze di tutela della sicurezza, della salute, dell’ambiente o dei beni culturali ovvero per evitare un grave danno all’Erario, può deliberare motivatamente l’atto, anche senza l’assenso delle regioni interessate.
Una formulazione (che non riguarda ovviamente le competenze riservate alle regioni) che non era piaciuta alla regione Veneto: troppo equivoca, tanto da imporre «quanto meno» una pronuncia interpretativa della Corte costituzionale. L’«oscurità» della norma era stata posta in evidenza anche dalla Conferenza unificata, nel parere reso il 22 febbraio 2012 sul disegno di legge di conversione del dl 5, in cui si paventava il rischio di un superamento delle intese senza alcuna concreta applicazione del principio di leale collaborazione, solo formalmente richiamato.
In successione, anche la regione Puglia ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’articolo 61, comma 3, del dl 5 del 2012, evidenziando similmente al Veneto come la norma consenta al governo di attivare meccanismi sostitutivi dell’intesa con le regioni anche quanto tale intesa sarebbe costituzionalmente necessaria. E a ruota pure la Toscana, secondo la quale la norma sarebbe lesiva delle prerogative regionali, tanto in caso di competenza residuale, quanto con riguardo ad ipotesi di competenza concorrente.
Le questioni proposte dalle regioni ricorrenti sono dunque considerate fondate dalla Corte presieduta da Franco Gallo, che ricorda di aver già messo in passato nero su bianco una serie di punti fermi. Uno fra tutti: nei casi in cui sia prescritta una intesa «in senso forte» tra Stato e regioni (ad esempio, per l’esercizio unitario statale, in applicazione del principio di sussidiarietà, di funzioni attribuite alla competenza regionale) il mancato raggiungimento dell’accordo non legittima, di per sé, l’assunzione unilaterale di un provvedimento.
Si tratta infatti di «atti a struttura necessariamente bilaterale», non sostituibili da una determinazione del solo Stato. L’assunzione unilaterale dell’atto non può neppure essere prevista come «mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell’intesa», e il rilievo nazionale degli interessi menzionati nella norma del dl 5 non è da solo sufficiente a rendere legittimo il superamento dei limiti alla potestà legislativa dello Stato e delle regioni fissati dalla Costituzione.
A nulla, inoltre, rileva che lo Stato possa muoversi solo dopo 60 giorni dalla mancata intesa: il semplice decorso del tempo non ribalta infatti i rapporti e comunque, secondo i giudici, potrebbe essere lo stesso Stato a determinare «con l’inerzia o con altri comportamenti elusivi, l’inutile decorrenza del termine».
C’è poi la questione della eccezionalità dell’attuale congiuntura economica e finanziaria. Crisi o non crisi, per la Corte lo Stato non può «esercitare funzioni legislative in modo da sospendere le garanzie costituzionali di autonomia degli enti territoriali». E già nel 2012 essa ha ricordato che lo Stato è sempre tenuto ad «affrontare l’emergenza finanziaria predisponendo rimedi che siano consentiti dall’ordinamento costituzionale».
La Consulta considera infine non praticabile una via interpretativa della norma del dl 5 nel senso di una sua compatibilità con la Costituzione, che era stata la strada battuta dall’Avvocatura generale dello Stato. Si tratterebbe di una sorta di «arrampicata» sugli specchi sostenere che siano salvaguardate le sfere di competenza delle regioni a statuto speciale e le competenze residuali delle regioni ordinarie pur in presenza dell’esercizio, da parte dello Stato, di funzioni regionali, in base al principio di sussidiarietà (art. 118, primo comma, Cost.).
Perché la norma, così com’è scritta, non lascia spazio all’esclusione «del potere di decisione unilaterale dello Stato nelle variegate ipotesi di collaborazione necessaria Stato-regioni (…) che possono coinvolgere tutte le competenze (esclusiva, concorrente e residuale) dello Stato e delle regioni a causa dell’impossibilità di ricondurre un dato oggetto nell’ambito di una sola di esse, senza arrecare danno agli interessi sottostanti alle altre, che godono di eguale tutela costituzionale». Troppa incertezza, dunque. Meglio per tutti sopprimere la norma.
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