Anche gli enti pubblici virtuosi che hanno conti in ordine e soldi in cassa, devono bloccare i pagamenti ai fornitori e fermare i cantieri: è l’effetto perverso, sostengono i rappresentanti delle imprese, del patto di stabilità. Dimenticando che in realtà si chiama “Patto di stabilità e crescita” e dimenticando anche le norme sui pagamenti tempestivi ai fornitori. Dalla sua istituzione sono sempre variate le modalità di calcolo, definite come limiti alla spesa o, come avviene da alcuni anni, in termini di saldi finanziari. L’obiettivo attribuito nel 2010 e poi per il 2011-13 è rappresentato in termini di saldo finanziario tra entrate e spese finali. La manovra estiva (Dl 78 del 2010) ha ulteriormente inasprito il patto, chiedendo ai comuni un ulteriore miglioramento del saldo. Con l’introduzione del federalismo fiscale, gli enti locali si interrogano sulle leve per garantire il fabbisogno di servizi per i cittadini. Da un lato non c’è dubbio che si debba agire sul fronte della spesa; dall’altro lato vanno esplorate le nuove imposte comunali, in un’ottica di equità del prelievo. Un segnale fondamentale, per iniziare a programmare investimenti in opere pubbliche, sarebbe sicuramente l’esclusione dal patto di stabilità dei pagamenti relativi alle opere da realizzare con l’imposta di scopo. Vediamo perché. L’imposta di scopo è stata introdotta dalla Finanziaria 2007 e modificata dall’articolo 6 del Dlgs 23/2011 sul federalismo fiscale municipale. Anche questa norma rimanda a un regolamento da adottare successivamente. La legge istitutiva ne assimila l’applicabilità alla disciplina Ici, al fine di non limitarne l’impatto a imprese e seconde case, ma di far partecipare tutti i contribuenti all’obiettivo di uno specifico investimento (scuole, palestre, piste ciclabili), per cui sarebbe utile non esentare le prime case, lasciando la decisione all’autonomia dei comuni. La norma specifica poi che l’imposta di scopo sia destinata esclusivamente al finanziamento di opere pubbliche, le quali rientrano nella spesa in conto capitale dei bilanci comunali; queste spese per investimenti sono proprio quelle limitate nei pagamenti dal patto di stabilità interno. L’effetto prodotto sarebbe dunque quello di far pagare ai cittadini un tributo aggiuntivo finalizzato a un’opera pubblica il cui costo, una volta realizzata, il Comune non potrà pagare a chi ha eseguito i lavori, pur avendo in cassa i soldi incassati dall’imposta. Andrebbe dunque esplicitamente esclusa tale previsione dal calcolo del patto di stabilità, con una norma ad hoc. Sarebbe utile un raccordo tra le norme sull’imposta di scopo e quelle del federalismo municipale, in particolare per la prevista abolizione dell’Ici, ponendo grande attesa al regolamento di revisione dell’imposta, previsto entro il 31 ottobre 2011. Un ulteriore chiarimento dovrebbe toccare anche un altro aspetto: per poter realizzare un’opera, il comune deve impegnare l’intero suo costo; ma se la durata massima dell’imposta è dieci anni, tale provvista non potrà essere né già incassata tutta prima della sua realizzazione, né determinata nell’ammontare futuro. Anche su questo aspetto un raccordo tra le norme è fondamentale.
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