Sulla carta per capitalizzazione sarebbe la quindicesima società quotata a Piazza affari, con un volume d’affari di oltre 11 miliardi e 23mila dipendenti. Bastano queste poche cifre per capire quanto sia ambizioso il progetto di Piero Fassino di lanciare un nuovo processo di aggregazione tra le utility del Nord, vale a dire Iren, A2a ed Hera. Il dossier è stato al centro dei confronti tra le giunte di Torino, Milano e Genova che si sono svolti prima dell’estate, ma alla ripresa i contatti sono subito ripartiti. D’altronde Fassino ci tiene, e parecchio. Il sindaco aveva parlato del progetto già in tempi non sospetti (in campagna elettorale, quando era difficile prevedere la vittoria di Pisapia a Milano, aveva ipotizzato una convergenza tra Iren ed Hera), e anche se nel Pd torinese non tutti sembrano convinti dell’operazione – c’è chi teme un’altra svendita di pezzi pregiati a Milano, come era già accaduto con Intesa-Sanpaolo – tra i manager si guarda al dossier con attenzione: «Premesso che è una scelta che compete agli azionisti – dice l’amministratore delegato di Iren, Roberto Garbati -, da tecnico condivido questo percorso perché si pone in continuità con quanto avvenuto negli ultimi anni». Vale a dire con il percorso compiuto prima con la fusione tra Aem Torino e Amga Genova, da cui era nata Iride, e poi con l’aggregazione con l’emiliana Enìa, che l’estate scorsa ha dato i natali a Iren. Una strada lunga che ha ingarbugliato la matassa della governance, e che la nascita della maxi-holding potrebbe in qualche modo contribuire a sciogliere. Il nodo Edison-Edipower. Certo il mondo delle utilities dell’energia, in primis per Iren ma soprattutto A2a, prima ha da risolvere la doppia partita Edison-Edipower, ma sia da Torino che da Milano si fa capire che il progetto della superholding Torino-Milano-Bologna viaggia in parallelo. E anche rapidamente: nei giorni scorsi sono anche circolati alcuni appunti in cui si cominciano a ipotizzare le quote che spetterebbero alle diverse amministrazioni cui fanno capo le società al centro della fusione: il 28% a Milano e Brescia (entrambe socie al 27,5% di A2a), tra il 9 e il 10% a Torino e Genova, il 20% a Bologna, Reggio Emilia e Parma. Al di là delle quote, la nuova società – e quindi, indirettamente, i soci – potrebbe far valere la sua mole sul fronte degli acquisti, a partire dalle commodity energetiche, ma anche in borsa, dove le singole utility al momento in termini di quotazione hanno solo da guadagnare. Il ruolo del Pd. A livello politico, è soprattutto il Partito democratico a spingere in questa direzione. In una riunione che si è tenuta a Milano una settimana fa, i capogruppo consiliari del Pd delle città del centrosinistra hanno fatto capire che si procede in questa direzione: si è parlato di «reti di municipalizzate», e di «sinergie soprattutto nel settore energetico». A Milano, la capogruppo democratica Carmela Rozza spiega che «bisogna essere cauti, valutare le opzioni e ciò che è meglio fare anche alla luce delle normative introdotte dalla manovra estiva. Tuttavia – dice – è interessante fare rete e sostenersi a vicenda per trovare soluzioni, soprattutto nel campo energetico, ma anche forse per i trasporti». Il progetto di una grande multiutility sta dunque andando avanti prima di tutto come disegno politico. Un disegno che permetterebbe al centrosinistra di costruire una nuova società pubblica e di gestirla dall’interno, se venisse realizzata in tempi brevi. E in effetti, dicono gli ambienti vicini ad A2a, si parla di un’iniziativa che già tra qualche mese potrebbe concretizzarsi. I più ottimisti parlano di inizio 2012, praticamente in coincidenza con il rinnovo del cda di A2a e la fine del mandato del presidente Giuliano Zuccoli. L’asse con Tabacci. Un ruolo di primo piano in questa fase di studio è affidata a Fassino e all’assessore al Bilancio di Milano Bruno Tabacci. Secondo cui, dopo aver risolto il problema del divorzio coi francesi in Edison, A2a dovrà fare un bilancio sulla sua esperienza. Bilancio con cui Tabacci probabilmente vorrà mettere in luce le difficoltà di una doppia guida (nel caso di A2a si parla di Milano e Brescia), oltre che del sistema duale. Suggerendo quindi una guida unica per il nuovo polo, evitando un frazionamento tra i tanti Comuni e un cda con tante rappresentanze che paralizzino le decisioni operative.
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