Licenziamento disciplinare nel Pubblico Impiego

Due recenti sentenze della Corte di Cassazione consentono di allineare alcuni importanti punti fermi in materia di personale degli Enti locali

7 Novembre 2017
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di VINCENZO GIANNOTTI

Con due successive sentenze la Corte di Cassazione stabilisce i seguenti principi di diritto:
a) nessun vizio nella composizione dell’UPD se il regolamento interno prevede una laurea in giurisprudenza non posseduta da uno dei membri del Collegio;
b) i termini del procedimento disciplinare decorrono dalla piena conoscenza delle motivazioni della sentenza nel procedimento penale e non dal dispositivo della stessa;
c) in caso di differimento dell’udienza per impedimento, la sospensione del procedimento riprende dalla data della successiva convocazione per la difesa e non dal termine del differimento richiesto dal dipendente;
d)  la conclusione del procedimento disciplinare si realizza al momento dell’adozione del provvedimento e non dalla data di comunicazione al dipendente;
e) spetta al dipendente richiedere l’accesso agli atti del procedimento e non all’ente avvertirlo di detta possibilità.
f) piena autonomia del procedimento disciplinare rispetto a quello penale.
Entrando nel dettaglio delle doglianze del dipendente e delle motivazioni espresse dalla Corte di Cassazione, nella sentenza 25 ottobre 2017 n. 25379, i sopra indicati principi di diritto sono qui di seguito esaminati.

In merito alla composizione dell’UPD

Uno dei motivi di contestazione, del dipendente licenziato per giusta causa, riguarda la composizione dell’Ufficio dei Procedimenti Disciplinari in quanto, secondo la regolamentazione interna dell’Ente i componenti avrebbero dovuto possedere la laurea in discipline giuridiche, mentre nel caso di specie un membro aveva la laurea in Economia e Commercio, ciò che avrebbe dovuto condurre alla nullità del procedimento disciplinare attivato e concluso da organo incompetente.

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