Sotto la pressione di parte del mondo radicale italiano riprende la contestazione al regime fiscale che in Italia riguarda la Chiesa cattolica. In generale, questa contestazione investe, sul piano politico italiano, tutta la materia a cominciare dal concordato fino all’8 per mille. È una lotta politica nella quale la Commissione europea non si è lasciata coinvolgere ritenendo più volte che le esenzioni Ici non avessero un’efficacia selettiva tale da compromettere la concorrenza. Difatti le esenzioni fiscali sono consentite dal Trattato europeo. Sarebbe assurdo vedere in tutte le esenzioni un aiuto di stato e un impedimento alla concorrenza. Se così fosse tutte le esenzioni dovrebbero essere vietate dal diritto europeo. Ma così non è. Occorre un carattere selettivo dell’agevolazione che non la collochi in una categoria più ampia. Non possono pertanto essere censurate come aiuti di stato le esenzioni preordinate alla tutela di una sfera di fini non economici, fra i quali rientrano quelli di culto, che sono assimilati a istruzione, cultura e beneficenza. Nel nostro ordinamento l’esenzione consiste in una norma eccezionale che sottrae a tassazione persone o beni che dovrebbero essere tassati secondo la regola. Essa è costituzionalmente legittima se il fine cui è preordinata è costituzionalmente degno di tutela: per esempio istruzione, cultura, beneficenza, risparmio e sviluppo economico; in ogni caso si tratta di materie nelle quali le scelte del Parlamento sono discrezionali, ma non arbitrarie. In secondo luogo, va chiarito che la Chiesa, se usufruisce di determinate agevolazioni (esenzioni o esclusioni), lo fa in maniera identica alle altre confessioni religiose e agli altri enti non commerciali: non ha uno status “preferenziale” che la differenzi dalle une o dagli altri. Le esenzioni Ici (tutte) nascono con la legge istitutiva dell’imposta(non sono un privilegio successivo accordato in seguito a presunte pressioni). Il decreto legislativo 504/1992, infatti, prevede una serie di esenzioni: volendo semplificare, si tratta degli immobili appartenenti allo Stato e agli altri enti pubblici, dei fabbricati appartenenti a Stati esteri, dei fabbricati destinati all’esercizio del culto, dei fabbricati appartenenti a enti non commerciali e destinati a particolari finalità ritenute meritevoli di tutela da parte del legislatore. Mentre per i fabbricati destinati all’esercizio del culto l’esenzione non presenta particolari problemi interpretativi ( e si tratta di tutti i culti, ovviamente), è l’ultima previsione a essere stata al centro dell’attenzione, per la ricomprensione in essa degli enti ecclesiastici e per un corretto inquadramento delle attività da questi esercitate all’interno degli immobili. La legge sull’Ici prevede l’esenzione per gli immobili degli enti non commerciali «destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali ricreative e sportive», nonché delle attività di religione e di culto, vale a dire «quelle dirette all’esercizio e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana», di enti ecclesiastici, dunque, possono rientrare in questa fattispecie in due casi. O quando negli immobili svolgono le attività da ultimo viste (attività di religione e di culto); oppure quando gli immobili sono destinati alle attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive. In questa seconda ipotesi, l’ente ecclesiastico viene in considerazione non in quanto tale, ma solo in quanto ente non commerciale. Nel caso degli enti ecclesiastici, enti non commerciali per definizione, l’esenzione Ici spetta quindi per due tipologie di attività: o quelle di religione e culto (e in questo caso vale per tutte le religioni), o quelle assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive (e in tal caso vale per tutti gli enti che svolgono quelle attività). In entrambe le ipotesi manca quel carattere selettivo specifico ed esclusivo che in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia relativa all’articolo 107 del Trattato connota l’aiuto di stato e l’alterazione della concorrenza.
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