Un cartellino giallo e poi scatta il dissesto finanziario. È la proposta che arriva dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili preoccupato dal crescente numero di enti che non riescono a pagare i fornitori o i dipendenti. Partendo dagli enti strutturalmente deficitari, che non hanno centrato almeno la metà dei parametri previsti dal decreto Interno 24/9/2009, la proposta individua un percorso obbligato di risanamento finanziario quinquennale in sette tappe, sotto la regia di un organismo esterno a livello regionale (Corte dei conti) o statale (commissione del Viminale). Innanzitutto è previsto un rafforzamento delle sanzioni a carico degli enti strutturalmente deficitari, ai quali dovrebbe essere esteso il sistema previsto per gli enti fuori patto. Il documento del Cndcec, va ricordato, è stato elaborato prima della manovra correttiva del Dl 78/2010 che ha inasprito la penalità del taglio dei trasferimenti. Il secondo step potenzia l’ufficio tributi, affinché garantisca: l’emissione dei ruoli sulle utenze dell’acqua entro 90 giorni dalla chiusura dell’esercizio, dei ruoli Tarsu entro il 30 aprile dell’anno di competenza, la riscossione mensile delle tariffe dei servizi a domanda e il recupero coattivo delle somme non riscosse entro 60 giorni dalla scadenza. Terzo passo: gli enti con uno squilibrio di parte corrente dovranno predisporre un piano quinquennale di ripristino del l’equilibrio economico che preveda l’adozione di strumenti (contabilità analitica per centri di costo) idonei a rilevare, per i servizi a domanda e per quelli non obbligatori, sia il consumo di risorse, sia le relative entrate, così da accrescere la copertura. Che deve superare: il 40% entro il primo anno; il 60% entro il secondo e raggiungere almeno l’80% entro il terzo. Il piano – autorizzato da un organismo esterno – dà anche la possibilità di accedere a un contributo straordinario di risanamento finanziato da risorse regionali e statali, sempreché l’ente abbia: predisposto il piano delle alienazioni, dismesso le partecipazioni vietate, correttamente applicato le sanzioni previste per gli enti fuori patto e rispettato le scadenze relative alla gestione delle entrate da parte dell’ufficio tributi. Quarto punto: gli enti che hanno attuato il piano di riequilibrio, solo dopo aver ripristinato gli equilibri di competenza possono istituire l’imposta straordinaria per il risanamento dei debiti pregressi di parte corrente relativi al periodo antecedente l’ultimo quinquennio. Quinto step: gli enti che hanno registrato disavanzo di cassa negli ultimi due esercizi possono aumentare tasse e imposte. Ancora, gli enti che, nell’ultimo triennio, rilevano un’anticipazione di cassa non rimborsata a fine anno per un importo superiore al 10% delle entrate correnti, possono accedere a un apposito fondo di rotazione da rimborsare non oltre il quinquennio successivo; in ogni caso l’ente non può utilizzare anticipazione di tesoreria fino a quando non avrà rimborsato l’intera somma. Infine, c’è l’obbligo di istituire un fondo svalutazione crediti per l’ammontare dei residui attivi di parte corrente costituiti da oltre cinque anni, vincolando l’avanzo di amministrazione per tale importo. Al termine del periodo, gli enti che non hanno superato la prova del ripristino dell’equilibrio economico sono automaticamente dichiarati in dissesto da parte dell’organismo esterno; la stessa sorte è prevista per gli enti che non adottano il piano di ripristino dell’equilibrio economico entro l’esercizio successivo alla rilevazione della deficitarietà strutturale. Al legislatore il compito di introdurre nel sistema gli indispensabili strumenti per far emergere dalla zona grigia degli enti in difficoltà i casi estremi e dare agli altri una via per prevenire il default. E il percorso del federalismo rappresenta un’ottima occasione.
L’ente sana il rosso in sette step
Finanza locale – Proposta del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili per i bilanci in deficit
Il Sole 24 OreLeggi anche
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