C’è un diffuso affanno, in queste settimane, fra gli amministratori di molte province. Sentono avvicinarsi l’ora del taglio e reagiscono, magari non sempre produttivamente, spesso con mere petizioni di principio. C’è chi punta su interventi delle regioni alla Corte costituzionali; chi vorrebbe l’indizione di referendum; chi già si è rivolto al Tar contro la deliberazione del Consiglio dei ministri che ha fissato i criteri minimi di popolazione ed estensione per il permanere di un’amministrazione provinciale; e c’è anche chi sceglie la strada della deroga.
Se ne parla, per esempio, nelle province lombarde.
Il consiglio delle autonomie locali, che è chiamato a esprimere una mera «ipotesi di riordino», dovrebbe richiedere una deroga ai criteri fissati dal governo. La regione, che deve trasmettere al governo una «proposta di riordino», dovrebbe, a sua volta, avanzare la richiesta di deroga. E la speranza è che, alla fine, il Consiglio dei ministri accolga l’istanza e attui la deroga. Ovviamente le motivazioni per avvalorare una deroga (che sarebbe in buona sostanza una violazione) ai criteri governativi sono ab-bondanti quanto le leggi che Roberto Calderoli dice di aver bruciato. Si spazia dalla storia alla geografia, dalla sociologia alla cultura.
Non si capisce, invero, a che mìrino, in concreto, i propugnatori di tali deroghe. Se, putacaso, una sola provincia in tutt’e quindici le regioni interessate dal riordino chiedesse la deroga, e tutte le altre si adattassero ad accorpamenti, risistemazioni, conglobamenti, potrebbe anche darsi che il governo, nel momento di emanare «l’atto legislativo» (così lo definisce il decreto-legge n. 95, confermato dalla legge di conversione n. 156) per il riordino attuasse una deroga. Una, però. Se invece fossero decine le province destinate alla scomparsa che chiedessero, in nome di nobili fini, la deroga per sopravvivere, è evidente che non si tratterebbe più di derogare, bensì di cancellare i criteri di riordino e, in buona sostanza, di annullare il riordino stesso.
Che la ristrutturazione dell’ente provinciale sia stata finora compiuta con appros-simazioni, incongruenze, errori e probabilmente anche violazioni del dettato costituzionale (il difetto più rilevante consiste, però, nell’aver lasciate intatte le venti regioni e nella sopravvivenza decretata per gli oltre 8.000 comuni) è senz’altro vero. Che, tuttavia, per rimanere in vita, alquante province pensino di affidarsi a una deroga è veramente incongruo, fondamentalmente inutile e dunque dannoso alla causa che si propongono.
Le Province alla canna del gas
Sono quelle destinate a scomparire ma che si appellano a tutto pur di poter sopravvivere
Italia Oggi
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