Le norme costituzionali che appaiono violate dalla norma sui diritti di rogito per i segretari comunali

Analisi dell’ordinanza di rimessione del Tribunale di Lucca del 23 novembre 2022, n. 27

22 Marzo 2023
Modifica zoom
100%
di AMEDEO SCARSELLA

Con ordinanza del 23 novembre 2022, n. 27, il Tribunale di Lucca ha nuovamente rimesso innanzi alla Corte Costituzionale l’art. 10 del d.l. n. 90/2014, convertito con l. n. 114/2014, norma che, modificando il precedente sistema ha previsto che una quota dei proventi dell’attività di rogito debba essere attribuita al segretario comunale rogante, in misura non superiore a un quinto dello stipendio in godimento, “negli Enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale, e comunque a tutti i segretari comunali che non hanno qualifica dirigenziale”. Dell’ordinanza sono stati illustrati i tratti salienti nell’articolo Di nuovo innanzi alla Corte la legittimità costituzionale della norma sui diritti di rogito.

In questo articolo si effettuerà un focus sulle norme della Costituzione che il Tribunale di Lucca ritiene violate:

  • l’art. 36 della Costituzione in quanto la disposizione risulta confliggere con il diritto dei segretari comunali e provinciali a ricevere una retribuzione per le proprie prestazioni, commisurata alla quantità e alla qualità del lavoro. Infatti, così formulata, la limitazione contenuta nell’art. 10, comma 2-bis, decreto-legge n. 90 del 2014, ove riconosce ai segretari una quota dei diritti di segreteria, a condizione che l’attività di rogito degli atti sia prestata da segretari privi della qualifica dirigenziale o in enti privi di dirigenti, comporta che non viene riconosciuto alcun diritto di rogito ad alcuni segretari creando significative discriminazioni prive di ragionevolezza e financo rimesse alla casualità (non essendoci regole che ancorino la presenza di dirigenti all’interno degli enti locali a fattori oggettivi);
  • l’art. 3 della Costituzione, tanto in relazione al profilo dell’uguaglianza, quanto per quello della ragionevolezza, poiché la disposizione appare idonea a creare, tra i segretari comunali e provinciali, allorquando svolgano la medesima funzione, trattamenti differenziati senza che ciò possa essere giustificato in base ad alcuna ratio, non comprendendosi il motivo per cui un segretario comunale o provinciale sia costretto a vedersi riconosciuti i diritti di segreteria soltanto quando appartenga a una fascia inferiore o svolga la sua attività in un ente privo di dirigenti;
  • l’art. 77 della Costituzione in quanto la norma censurata si palesa disomogenea rispetto al contenuto del d.l.. n. 90/2014 diretto a intervenire in tema di «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari», mancando una situazione di necessità e di urgenza tale da giustificare l’utilizzo da parte del legislatore della decretazione di urgenza per introdurre — in sede di conversione — la norma in esame;
  • l’art. 97 della Costituzione in quanto la norma non assolve ad alcuna funzione «perequativa», bensì è tale da determinare un’irragionevole disparità di trattamento fra i segretari comunali e provinciali, quindi un’irragionevole difformità in grado di inficiare la progressione in carriera dei lavoratori pubblici. Infatti, l’articolo in esame, al fine di garantire il buon andamento della amministrazioni pubbliche, richiede che sia garantito un sistema di carriera – tanto più per una funzione delicata ed essenziale qual è quella del segretario – in grado di favorire, sotto il profilo delle competenze e del correlato sistema retributivo, la crescita professionale, in modo da assicurare eccellenze professionali negli incarichi di maggiore complessità. L’attuale sistema, non incentivando economicamente la progressione di carriera, ma attribuendo trattamenti economici peggiorativi all’aumentare delle responsabilità incide anche sulla corretta funzionalità delle amministrazioni pubbliche e sul loro buon andamento.

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento