Gli ultimi provvedimenti del ministro Profumo, quando era in carica per il disbrigo degli affari correnti, hanno scontentato molti tra utenti e operatori.
Tra questi l’associazione italiana degli editori, Aie, che ha presentato ricorso al Tar del Lazio contro il decreto n. 209 del 26 marzo scorso sull’introduzione dall’anno scolastico 2014/2015 dei libri di testo in versione interamente digitale o mista, costituita quest’ultima da un testo cartaceo e da contenuti integrativi digitali, sia per l’eliminazione della gradualità prevista dalla legge sia per l’arbitraria riduzione dei limiti, entro i quali i collegi docenti delle scuole secondarie devono contenere la spesa a carico delle famiglie per l’acquisito dei libri di testo.
Nell’attesa di conoscere la posizione di Maria Chiara Carrozza, nuovo ministro dell’istruzione, gli editori non hanno ancora diffuso il ricorso ma fanno sapere, tramite il presidente del gruppo educativo dell’associazione, Giorgio Palumbo, sentito da ItaliaOggi, e il comunicato del 27 maggio scorso di avere contestato il precedente ministro per essersi, se così si può dire, un po’ allargato nel dare attuazione alle misure urgenti per la crescita del governo Monti (decreto legge n. 179 del 2012) e per avere ridotto i tetti di spesa «senza alcuna istruttoria sui costi reali di produzione».
Le due questioni, per altro, sembrerebbero anche connesse. Il decreto legge 179 del 2012 prevede una gradualità nell’introduzione di libri interamente digitali o misti, giacché stabilisce che il relativo obbligo sia «progressivamente» operativo solo a partire dal 2014/2015, solo per le nuove adozioni e solo per le classi prima e quarta della scuola primaria, prima della scuola secondaria di primo grado e prima e terza della scuola secondaria di secondo grado. In questo modo occorrono tre anni scolastici perché l’obbligo sia generalizzato a tutte le classi di tutti gli ordini di scuola, andando quindi a regime dal 2016/2017.
Invece l’art. 1 del decreto Profumo, mentre conferma che l’obbligo di adozione di libri in versione interamente digitale o mista decorre per le anzidette classi dal 2014/2015, ridurrebbe la progressività di un anno, con la conseguenza che la sua generalizzazione a tutte le classi verrebbe anticipata all’anno scolastico 2015/2016. Gli editori saranno così costretti ad «annullare (…) [gli] investimenti e a macerare i (…) magazzini, costituiti in base alla legge dei blocchi delle adozioni e calcolati secondo le ragionevoli aspettative del graduale passaggio al digitale, così come definito dal testo della legge votato in Parlamento».
Già, perché la legge, cui gli editori fanno riferimento, è quella che ha istituito l’obbligo quinquennale e sessennale delle adozioni, sulla base del quale sono state costituite le scorte di magazzino, che ora dovrebbero andare al macero. Il blocco quinquennale e sessennale delle adozioni è stato abrogato dal decreto legge n. 179 del 2012 ma la sua eliminazione non può non andare di pari passo con l’introduzione graduale delle nuove versioni di libri prevista dallo stesso decreto, proprio per evitare gli inconvenienti lamentati.
E quanto ai tetti di spesa il decreto Profumo prevede una riduzione del 30%, libri in versione interamente digitale, e del venti per cento, libri in versione mista. Poiché attualmente la spesa delle prime classi di scuola secondaria si aggira sui trecento euro, il risparmio per le famiglie varierebbe dai 60 ai 90 euro, che è illusorio pensare bastino per acquistare e rinnovare la dotazione tecnologica per l’utilizzazione dei libri digitali.
La legge istitutiva dei tetti di spesa, la finanziaria del 1999, fortemente voluta da Luigi Berlinguer, ministro dell’istruzione nel governo Prodi, attribuisce al ministero dell’istruzione il potere di regolamentare annualmente la materia ma tale potere non può essere esercitato, per principi generali di buon andamento dell’attività amministrativa, senza ancorarlo a dati di fatto oggettivi, analiticamente consultati e valutati, pena la contestazione per eccesso di potere. Ed è ciò che sarebbe mancato, secondo l’Aie, secondo la quale non è vero che il passaggio al digitale comporta un abbattimento dei costi di produzione: «al contrario esso richiede altre professionalità e altri costi e sconta un’Iva di 17 punti percentuali (forse da luglio di 18) in più rispetto ai libri di carta. Il danno per (_) [gli editori] e per tutta la filiera è ancora maggiore se si considera che (_) [devono] stare in questi tetti di spesa non solo per i nuovi libri digitali ma anche per tutti gli altri già in utilizzo». E tutto ciò, senza entrare nel merito delle altre questioni implicate, la formazione degli insegnanti, assolutamente da generalizzare, e le dotazioni tecniche, la cui estensione a tutte le scuole richiederebbe agli attuali ritmi ancora altri quindici anni, stando al parere dell’Ocse, richiesto con uno spettacolare autogoal dallo stesso ministero e reso pubblico il 5 marzo scorso. Senza contare che non sono pochi coloro che ritengono insostituibile la versione cartacea dei libri per i pregi che possono ancora vantare rispetto alle corrispondenti versioni digitali.
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