L’autonomia val bene un riordino

5 Luglio 2010
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Un’occasione e un rischio. La prima è che la service tax – il nuovo tributo immobiliare unico dei comuni- sia destinata a diventare qualcosa di più (e di meglio) della somma delle imposte che accorperà. La riforma federalista può, cioè, diventare uno stimolo per eliminare le storture e le complessità del sistema attuale di prelievo sul mattone e dare credibilità alla nuova tassa come vero strumento di autonomia impositiva delle città. Ma qui si nasconde il rischio di un tributo – come sarà la service tax – basato sui valori catastali degli immobili. Basta dare un’occhiata alle tariffe d’estimo per capire che a Milano sono il doppio di Napoli. Questa geografia “variabile” dei valori tenderà a concentrare maggiori risorse nelle realtà dove c’è più ricchezza. Per essere chiari, vuol dire che a Napoli la service tax costerà la metà che a Milano ma “renderà” anche la metà. Sarà compito degli interventi perequativi dare ossigeno alle realtà più “povere”, ma non è detto che bastino. Partire con una tassa sul patrimonio immobiliare, tra le soluzioni possibili, era certamente la più semplice. Forse, però, non la più equa. Del resto la scelta di basarsi sul mattone rappresenta la prosecuzione della politica che ha condotto all’Isi-Ici nel 1992/93. Se poi consideriamo che la base imponibile è rappresentata dai valori catastali, che per universale ammissione sono quanto di più distante ci sia da quelli reali, la scelta può suscitare qualche perplessità. Soprattutto per la sperequazione: dato il discutibile sistema di attribuzione delle rendite catastali, a immobili identici in centri analoghi sono stati assegnati valori assai diversi, forse giustificati vent’anni fa. Certo il mattone (case fantasma a parte) è una delle poche cose tangibili e tassabile oggi in Italia, reddito dei lavoratori dipendenti a parte. Si sprema il mattone, quindi. Ma, almeno, con un po’ di chiarezza sui conti. Nella relazione sul federalismo fiscale, presentata dal ministro dell’Economia pochi giorni fa, si parla di imposta di registro, ipocatastale e Irpef immobiliare: totale 15 miliardi (più i 10 di Ici). Ma il totale delle ipocatastali e del registro, stando ai dati dell’Economia (preconsuntivo 2009), è 6,782 e non 8,171 miliardi come indica lo stesso ministero in altre stime; quindi bisogna supporre che queste imposte siano di origine immobiliare al 100%, cosa non vera. Se aggiungiamo 8,171 miliardi di Irpef derivante dagli immobili (rendite e affitti) e l’Ici, eccoci ai 25 miliardi ( stiracchiati). Nella relazione, però, si parla anche di esentare la prima casa e non si tassano gli inquilini: quindi praticamente si esentano tutti coloro che abitano nel comune e i 25 miliardi graverebbero solo su seconde case e immobili non residenziali. Ma perché chi risiede nel comune non dovrebbe pagarne i servizi? La relazione, poi, parla anche della cedolare del 20% sulle locazioni: ma gli affitti in nero sono circa 500mila, e anche recuperandoli tutti non si arriverebbe al gettito attuale, anzi si perderebbero 1,2 miliardi. Insomma, i conti restano un’incognita e gli effetti sono tutti da verificare.

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