Sarà il Governo, attraverso la Funzione pubblica, e non più la Commissione indipendente per la valutazione e la trasparenza della Pa (Civit), a guidare l’applicazione della legge anticorruzione, e in particolare a definire le conseguenze pratiche delle incompatibilità dei dirigenti pubblici. La «guida» sulle nuove regole, in pratica, passa da un’Authority indipendente all’autorità politica.
Il cambio di competenze è figlio di due emendamenti firmati da Gianclaudio Bressa e Andrea Giorgis, entrambi del Pd, e non è un cavillo tecnico. La legge anticorruzione (legge 190/2012), attuata con il Dlgs 39/2013, ha introdotto una fitta griglia di limiti che oltre a bloccare gli incarichi dirigenziali negli uffici pubblici a chi è inciampato in una condanna (anche in primo grado) per reati contro la Pubblica amministrazione vietano le poltrone di vertice nelle amministrazioni e nelle società partecipate a chi negli ultimi anni ha fatto politica (con limiti temporali diversi a seconda del livello di governo) o ha occupato un posto nei consigli di amministrazione di altre società. Vincoli che, anche se con più di un difetto di coordinamento, sono nati con l’obiettivo di stoppare il “riciclaggio” di ex politici nelle amministrazioni e nelle aziende pubbliche, e che hanno creato parecchi problemi ai vari progetti di nomina coltivati da Regioni ed enti locali.
A sciogliere i tanti dubbi interpretativi era chiamata fino a oggi la Civit, dotata della veste di Autorità nazionale anticorruzione, che in qualche parere recente aveva destato qualche malumore in alcune delle categorie “colpite”: ultimo in ordine di tempo è quello dei medici, che hanno contestato l’applicazione diffusa delle norme alla dirigenza sanitaria sostenuta dalla Commissione (si veda Il Sole 24 Ore del 19 luglio). Ma i casi sono più di uno, anche perché in molti passaggi le regole non sono chiarissime e sono state un fiume le richieste di chiarimenti arrivate alla commissione. «Non abbiamo dato interpretazioni estensive, ma sistematiche – spiega Romilda Rizzo, che presiede la Civit -, ascoltando anche le rappresentanze delle amministrazioni interessate per capire meglio i problemi». Ma il punto, più che nel merito, secondo Rizzo è che «noi siamo un’Autorità nazionale anticorruzione, in attuazione anche di accordi internazionali, con procedure di nomina e criteri di incompatibilità che garantiscono la nostra indipendenza». Palazzo Chigi, naturalmente, è un’altra cosa.
Con i correttivi al decreto «del Fare», il compito di dettare gli indirizzi operativi delle regole anticorruzione va direttamente alla Funzione pubblica, chiamata a «emanare proprie direttive sull’interpretazione» della legge anticorruzione, mentre la Commissione potrà esprimersi sul tema solo «su richiesta» della stessa presidenza del Consiglio, che «ne terrà conto» nelle proprie direttive. La Civit, invece, continuerà a occuparsi in prima persona della «trasparenza» delle Pubbliche amministrazioni, prevista dal meno “problematico” Dlgs 33/2013.
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