In una recente sentenza la giurisprudenza è tornata a pronunciarsi in materia di accesso agli atti all’interno dei pubblici appalti.
I giudici hanno stabilito che nel rapporto (contrastante) tra accesso e riservatezza, vige il principio di “stretta indispensabilità” nel senso che qualora la documentazione richiesta sia necessaria alla difesa in giudizio, essa va resa disponibile. Così si è espresso il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 1692 del 11 aprile 2017.
I giudici hanno, in primo luogo, chiarito che nella scala gerarchica dei valori da considerare, in occasione della disamina dei motivi che giustificano una domanda di accesso, quelli legati alle esigenze di difesa del richiedente occupano un gradino elevato ma non tale, tuttavia, da prevalere sempre e comunque (e soprattutto acriticamente) su qualunque altro interesse, specie se contrapposto giacché invocato da chi, di contro, denuncia che, consentendosi l’accesso, si permetterebbe il disvelamento di propri dati, ritenuti sensibili, contenuti nella documentazione amministrativa da altri chiesta.
Accesso agli atti all’interno dei pubblici appalti
È anche vero che, entro determinati limiti, un’effettiva esigenza di difesa, non altrimenti suscettibile di appagamento (ossia che non è possibile soddisfare se non acquisendo conoscenza proprio di quella particolare documentazione che reca altresì, in seno, il dato sensibile che riguarda un soggetto terzo e, perciò, controinteressato), può prevalere sui contrapposti interessi alla riservatezza.
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