I numeri parlano chiaro: l’abolizione delle Province, sbandierata come un capolavoro politico di riduzione della spesa pubblica, si sta rivelando l’esatto contrario. Ovvero: creazione di nuovi enti intermedi, spese in aumento, più dirigenti e nessuna riduzione di personale burocratico, mentre l’unico punto a favore è un piccolo risparmio dovuto all’abolizione dei tremila consiglieri provinciali (ora non più rieletti) e dei loro emolumenti. Briciole. La cartina di tornasole di questo autogoal, sbandierato da Matteo Renzi come una riforma strutturale, è quanto sta accadendo in Friuli Venezia Giulia, dove, dal primo luglio, entrerà in vigore la riforma regionale che abolisce le quattro province, facendo proprie le indicazioni della legge firmata da Graziano Delrio (n. 56 del 7 aprile 2014).
Il Friuli Venezia Giulia è una regione a statuto speciale, guidata da Debora Serracchiani, che è anche vicesegretaria del Pd nazionale, da sempre alleata di Renzi. Circa un anno fa, quando il Friuli varò la riforma delle sue province (Trieste, Gorizia, Udine, Pordenone), la Serracchiani disse che si trattava di un esempio di «efficientamento e risparmio dei costi della politica». E il Pd friulano ha ripetuto per mesi che la «riforma Serracchiani» era un modello da imitare per le altre Regioni. Ma i risultati, come documenta il sito scenarieconomici.it, dicono ben altro. Al posto delle quattro province in via di abolizione (per la cancellazione definitiva bisogna cambiare la Costituzione, ma questa riforma è ferma al Senato), in Friuli si stanno creando ben 17 mini-province, poiché altro non sono le Unioni di Comuni che dovranno svolgere una parte delle funzioni svolte in passato dalle province. Ciascuna Unione di Comuni avrà un proprio direttore generale: dunque, 17 direttori generali nuovi di zecca, con quel che segue in termini di nuovi costi e di clientelismo politico.
Ma questo è solo l’inizio. Dal primo luglio, gli uffici del Sevizio Lavoro delle ex Province, con i loro 300 addetti, passeranno in carico alla Regione Friuli. I dipendenti provinciali diventeranno così regionali, con immediato vantaggi retributivi, primo fra tutti la quattordicesima mensilità, che gli impiegati provinciali non avevano. Costo stimato: un milione di euro di spesa in più. Ma non è tutto. Dei 1.259 dipendenti provinciali, si prevede che 681 passeranno in carico alla Regione, mentre gli altri saranno redistribuiti tra i Comuni. Il vantaggio di passare in Regione è notevole: significa avere un aumento di stipendio assicurato. La Cgia di Mestre ha calcolato che il costo medio di un dipendente della Regione Friuli è di 65.164 euro l’anno, contro i 45.892 euro di un provinciale. Ergo, dice la Cgia di Mestre, il costo del lavoro degli attuali dipendenti provinciali salirà del 15%, con tanti saluti all’efficientamento e ai risparmi di spesa.
Tra i compiti svolti finora dalle province, quello più conosciuto è la manutenzione delle strade provinciali. D’ora in poi, se ne faranno carico le Regioni. Ciò è previsto anche in Friuli, dove i costi di manutenzione, invece di diminuire, saliranno, e di parecchio. La solita Cgia di Mestre ha calcolato che il costo di gestione delle strade da parte delle province friulane è stato piuttosto oculato, in media 16.279 euro per chilometro, mentre il costo medio regionale per lo stesso servizio è di 59.488 euro, più del triplo. Alla fine, salvo ulteriori sorprese, la Cgia prevede che manutenzione delle strade friulane verrà a costare 95 milioni di euro in più all’anno. Altri rincari, non ancora quantificati, sono previsti anche per l’istruzione (la manutenzione degli edifici scolastici dei licei e degli istituti superiori spettava alle province) e per la motorizzazione civile.
Se questo accade in Friuli, che nonostante tutto è considerata una Regione virtuosa sul piano della spesa, è facile immaginare cosa accadrà nelle Regioni che già ora hanno fama di manica larga e di predisposizione allo sperpero, soprattutto nel Sud. Se Serracchiani &C. hanno creato 17 mini-province al posto di quattro, cosa faranno in Sicilia? La Corte dei conti, prima che la riforma Delrio arrivasse in porto, aveva sollevato non pochi dubbi, mettendo nero su bianco critiche come questa: «I risparmi effettivamente quantificabili sono di entità contenuta, mentre è difficile ritenere che una riorganizzazione di così complessa portata sia improduttiva di costi».
Il costo totale delle Province, fino a un anno fa, era di 10 miliardi l’anno (1,27% della spesa pubblica). Il premier Renzi assicurò che la loro abolizione avrebbe consentito di risparmiare un miliardo, grazie al taglio di tremila consiglieri provinciali e delle loro indennità. Ma l’Upi (Unione delle province) lo corresse, precisando che al massimo si sarebbero risparmiati 500 milioni.
Risparmi destinati a trasformarsi ora in maggiori spese, come è accaduto in passato ad altre riforme della sinistra, sbandierate come modello di efficienza, mentre erano solo un trucco per fare nuove nomine, nuove spese, e avere così più potere. Un andazzo a cui anche il Pd renziano non si è sottratto. Anzi.
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