Il disegno di legge di riforma delle province presentato dal ministro Graziano Delrio crea notevoli incertezze non solo sull’attribuzione delle funzioni e competenze, ma anche in merito alla finanza locale. Il passaggio delle funzioni dalle province agli enti subentranti, che possono essere a seconda dei territori città metropolitane, comuni o unioni di comuni e, per altro, in modi e dimensioni molto diversificate, richiede necessariamente il transito verso gli enti destinatari delle risorse necessarie alla loro gestione. Occorre, dunque, trasferire sia la titolarità delle entrate tributarie e patrimoniali connesse alle funzioni, sia patrimonio, risorse strumentali e personale.Per le città metropolitane il problema risulterà di minore difficoltà. Infatti, il disegno di legge prevede che esse subentrino, assorbano le precedenti province, succedendo loro «a titolo universale». Sicché patrimonio, personale e risorse strumentali delle province transiteranno senza soluzione di continuità verso le città metropolitane, che continueranno integralmente a gestire le funzioni provinciali, aggiungendovi quelle ulteriori che il disegno di legge considera come proprie e tipiche dei nuovi enti.
Per quanto concerne le province del resto del territorio, la situazione è molto più complessa. Infatti, il disegno di legge prevede che restino in capo a loro pochissime funzioni, mentre tutte le altre passeranno non per successione universale, bensì particolare, ai comuni o alle unioni dei comuni, fermo restando che alcune regioni potrebbero decidere di assumere direttamente alcune di esse.Il disegno di legge non affronta la questione, intricatissima, e rinvia la sua soluzione a un dpcm che dovrebbe fissare i criteri generali per l’attribuzione a comuni, unioni e regioni, delle risorse, nonché a provvedimenti attuativi delle stesse province.
Poiché, però, regioni e comuni potranno delegare specifiche funzioni alle province, potrebbe innescarsi anche un moto contrario: saranno regioni e comuni a dover ritrasferire le risorse puntualmente necessarie allo svolgimento delle funzioni.Manca, per regolare tutto questo complessissimo reticolo, un elemento fondamentale: la riforma della normativa sulla finanza locale. Il ddl si limita a prenderne atto e prevede che «fino alla riforma della finanza locale, le entrate tributarie continuano ad essere riscosse dalla provincia».
Che, in sostanza, dovrebbe fare da riscossore e redistributore delle risorse.Il ddl dimentica, tuttavia, che gran parte delle entrate provinciali discendono dal fondo sperimentale di sviluppo, trasferito loro dallo stato. E non fornisce indicazioni su come e chi lo gestirà in futuro. Nebbia anche sulle conseguenze della riforma sul patto di stabilità. Anche in questo caso, il ddl si limita a porre il problema, senza risolverlo. Si prevede solo che fino a quando il patto verrà rivisto, le città metropolitane e le nuove province sono tenuti a conseguire gli obiettivi di finanza pubblica propri delle “vecchie province”. Per le città metropolitane che subentrano in universum ius può anche andare bene, ma la previsione manca di prendere in considerazione gli effetti sul patto e gli altri vincoli (si pensi alla spesa del personale e alle assunzioni) ricadenti sui comuni o le unioni di comuni.
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