Da martedì prossimo i pagamenti dei fornitori pubblici faranno i conti con la tracciabilità. In prima battuta, però, non è affatto pacifica l’applicazione della nuova legge antimafia (la 136/2010), che all’articolo 3 fa scattare l’obbligo di appoggiare tutti i pagamenti legati ad appalti pubblici su conti correnti dedicati. La legge entrerà in vigore il 7 settembre. Ma le prime interpretazioni istituzionali sono contrastanti. Se infatti non c’è alcun dubbio che la tracciabilità si applicherà subito a tutti i contratti con i fornitori pubblici stipulati dal 7 settembre, molto più confusa è la situazione per i vecchi appalti, per i pagamenti legati a contratti già in corso con la Pa. Secondo il ministero degli Interni (il ministero che ha seguito tutta la nuova normativa antimafia), l’obbligo non riguarda i rapporti già in corso. Scrive infatti l’ufficio stampa del ministro Roberto Maroni in una sintetica nota di risposta a un quesito posto da «Il Sole 24 Ore» proprio sui vecchi contratti: «L’articolo 3 relativo alla tracciabilità dei flussi finanziari troverà applicazione solo per i contratti stipulati successivamente all’entrata in vigore della norma stessa». Tuttavia, l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (che è l’organismo indipendente che vigila sul mercato degli appalti di lavori, servizi e forniture) la pensa in modo opposto. «L’onere della tracciabilità scatta da subito anche per i contratti in essere» risponde il presidente facente funzione, Giuseppe Brienza. A supporto di questa tesi porta argomentazioni sia giuridiche che sostanziali. «Quella sulla tracciabilità – spiega – è una norma che incide direttamente sull’organizzazione della pubblica amministrazione che deve strutturare in modo diverso i propri pagamenti è quindi ha un’applicazione generale e immediata». «Non dimentichiamo poi – aggiunge – che stiamo parlando di uno strumento pensato per combattere la criminalità organizzata che deve quindi essere applicato in modo più esteso possibile». Per Brienza quella della tracciabilità sarà una delle prime questioni del suo nuovo mandato: l’8 settembre è prevista la sua nomina a pieno titolo alla guida dell’Authority degli appalti. Quindi, ci tiene a precisare che la sua posizione «è il frutto di una primissima lettura della legge e che l’Autorità tornerà sulla questione con un documento più approfondito». Intanto, però, i fornitori pubblici e le stazioni appaltanti dovranno districarsi tra le due interpretazioni da subito. Con conseguenze pesantissime in caso di errore. La legge 136, infatti, prevede dure sanzioni per chi sceglie il contante. A cominciare proprio dalla perdita del contratto: in caso di mancato rispetto della tracciabilità infatti il contratto è risolto automaticamente (sia quello tra appaltatore e pubblica amministrazione, che quello tra appaltatore e subappaltatore). Previste anche multe che vanno dal 5 al 20% del valore della transazione se il pagamento è in contanti e dal 2 al 10% della transazione se il pagamento si appoggia a un conto corrente che non è dedicato. Imprese e professionisti si trovano in una posizione molto delicata. L’associazione dei costruttori, ad esempio, prende posizione a favore della non retroattività dell’obbligo per i vecchi contratti, come sostengono gli Interni. «Ben venga la tracciabilità che contribuisce a espellere le imprese scorrette – commenta Vincenzo Bonifati, delegato per il territorio dell’associazione – ma se scattasse anche sugli appalti in essere provocherebbe il caos». L’Ance non usa mezzi termini: «Si bloccherebbero subito tutti i pagamenti delle amministrazioni: la norma richiede infatti anche il Cup, il codice unico di progetto, che oggi i contratti non hanno e senza il quale non c’è tracciabilità» conclude Bonifati.
La tracciabilità parte tra i dubbi
Antimafia. La legge in vigore dal 7 settembre non chiarisce se il monitoraggio dei pagamenti si estende agli appalti in corso
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