Il presidente del consiglio, si sa, è stato sindaco, e si vede, si sente. Il territorio, le comunità, le città restano nel suo orizzonte, e loro, i sindaci, lo percepiscono ancora come un collega. Che ha fatto strada, ma che non rinnega affatto quella percorsa fino a ieri. Gli scrivono, cercano di contattarlo, di parlare con lui, di rilanciare le sue idee, di proporne altre. Nel giorno della Festa della Repubblica Matteo Renzi aveva scritto agli ex colleghi, chiedendo loro «uno sforzo comune».
Individuando una caserma bloccata, un immobile abbandonato, un cantiere fermo, un procedimento amministrativo da accelerare e segnalandolo, entro il 15 giugno all’indirizzo matteo@governo.it . «Sarà nostra cura verificarne lo stato d’attuazione con gli uffici dedicati e, nel caso, procedere all’interno di un pacchetto di misure denominato “Sblocca Italia”». Un grande successo, finora. Mai prima i municipi d’Italia si erano trovati così in sintonia con palazzo Chigi (dove a fianco di Renzi c’è un altro ex-collega, Graziano Delrio, già sindaco di Reggio Emilia. E un altro ex- primo cittadino, Lorenzo Guerini, sindaco di Lodi fino al 2012, dà una mano al premier dal Nazareno, tenendo lui, con la Serracchiani, il timone del Pd).
Eppure, proprio in questa inedita collaborazione tra premier e sindaci si annidano i problemi più spinosi per Matteo Renzi, anche se più nella sua veste di leader del Pd che in quella di presidente del consiglio. Il “caso Venezia”, e prima ancora quello dell’Expo a Milano, hanno messo bene in evidenza come, da Roma, sia difficile pilotare il processo di cambiamento imposto dallo straordinario successo elettorale del 26 maggio, avendo a che fare con situazioni in molti casi compromesse o divenute estremamente complicate in città importanti. A partire dalla stessa capitale, dove il sindaco Ignazio Marino, fin dall’inizio del suo mandato, è sembrato creare più problemi di quanti sia in grado di risolvere, diventando perfino un imbarazzo politico. In città grandi, come Napoli e Genova, sindaci arrivati alla guida del comune sospinti da risultati notevoli, sono ora costantemente in bilico, alla continua ricerca di quel voto che manca in consiglio per restare in sella. E le sconfitte brucianti in comuni come Padova, Livorno e Perugia contribuiscono a dare il senso di una difficoltà non estemporanea per il Pd. In altre città, certo, il quadro è più confortante, come a Torino, con Piero Fassino, e a Catania, con Enzo Bianco, ma è chiaro che le notizie negative sono quelle che prevalgono e fanno la musica.
È curioso come l’era del primo sindaco diventato presidente del consiglio non coincida con una rinnovata “stagione dei sindaci”, come quella dei primi anni Novanta quando una ventata di fiducia arrivò con l’elezione nei municipi delle grandi città (e non solo) di uomini nuovi, spesso provenienti dalla società civile, preparando la strada al governo dell’Ulivo.
Molti di questi leader locali discutevano fino a ieri con il collega Renzi, condividevano i problemi, si confrontavano nell’Anci. Molti di loro, diversamente dal sindaco di Firenze diventato premier, non sono politici di professione. Ma questa “patente”, che doveva essere una garanzia rispetto ai rischi di degenerazione partitocratica, si è rivelata inadeguata nel fronteggiare la complessità del governo di una città, che non è solo amministrativa, ma anche politica, sia nel rapporto con i cittadini-elettori sia nella relazione con le forze politiche a sostegno della giunta o di opposizione.
Peraltro affidarsi a un avvocato o un professore non sempre è necessariamente una garanzia. Come dimostra il caso di Venezia. Inoltre – il caso Venezia, di nuovo, è emblematico – affidarsi a una “personalità” può diventare per i partiti un modo per “usare la sua maschera” e, dietro le quinte, continuare a occupare spazi di potere politico-affaristico, anche quelli apparentemente “leciti” come le aziende municipalizzate.
Così il rinnovamento del Partito democratico, anche in vista di una nuova leva di sindaci d’ora in poi possibilmente “politici”, non può che ripartire dalla “periferia”, spesso con una netta, inevitabile rottura generazionale e di genere, o recuperando personalità forti ma a volte ingiustamente emarginate o mal impiegate. In molti piccoli centri è già avvenuto, con la miriade di dirigenti, sindaci e assessori. Il tema ora riguarda soprattutto le grandi città, cominciando da Venezia, dove uno scandalo chiude vergognosamente un’era, ma, al tempo stesso, ne apre un’altra che – se Renzi avrà modo di dedicarcisi – aprirà una nuova epoca e potrà perfino essere d’esempio per le altre città.
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