Non siamo riusciti a individuare il funzionario a cui chiedere l’autorizzazione che ci serve. Sono mesi che aspettiamo un certificato. Nessuno ci dice quanto costa. Ci aspettavamo di più. Da oggi in poi, ogni volta che sull’uscio di un ufficio pubblico si ascoltano ritornelli del genere, qualcuno deve tremare. Perché potrebbe essere stato violato uno degli standard di qualità che devono essere rispettati. Parametri ignoti fino a ieri, ma la cui violazione potrà presto alimentare una class action pubblica. Come anticipato sul Sole 24 Ore del 26 giugno, Civit, la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche, ha infatti varato le linee guida per la definizione degli standard di qualità. Uno dei tasselli mancanti per la piena operatività del decreto che ha introdotto nel nostro ordinamento l’azione collettiva contro le inadempienze della pubblica amministrazione. Versione in apparenza meno “aggressiva” di quella civile (l’obiettivo non è il risarcimento di un danno, ma il semplice ripristino del corretto svolgimento di un servizio), eppure il dirigente dell’ufficio responsabile dell’infrazione potrebbe passare un brutto quarto d’ora nel caso il tribunale amministrativo dovesse accogliere la domanda. Il lavoro della Civit, comunque sia, non chiude il cerchio, ma è la penultima tessera del puzzle. Che sarà completato entro la fine dell’anno, quando per le amministrazioni scadrà il termine per adottare i propri standard qualitativi, necessariamente diversi in ragione dei differenti servizi erogati. Oggi dunque è definita una sorta di cornice, anzi quattro. Tante quante sono le «dimensioni» della qualità che deve essere garantita (si veda la grafica a lato): accessibilità, tempestività, trasparenza ed efficacia. Una tempistica diversa sembra interessare gli enti locali, i quali probabilmente potranno spingersi anche oltre il termine fissato per le pubbliche amministrazioni: a dirimere la questione è chiamata la stessa commissione Civit che sta bruciando le tappe per trovare con l’Anci, l’Upi e le regioni la quadratura del cerchio (si veda a tale proposito l’intervista al presidente della Civit, Antonio Martone, riportata a lato). Le linee guida oltre a fissare le quattro dimensioni si spingono a stabilire anche gli «indicatori » di qualità: per ciascun parametro di riferimento – ad esempio la tempestività – l’amministrazione deve individuare tre o quattro indicatori che consentono di stabilirne la misura, al di sotto della quale si deve ritenere violato lo standard. A questo punto l’amministrazione è in grado di predisporre i propri standard che devono necessariamente essere composti da due elementi: un indicatore di qualità e un valore programmato, cioè il livello da rispettare ogni volta che viene erogato un servizio. Per definire il valore programmato bisogna innanzitutto verificare se esistono termini fissati da leggi o regolamenti e se standard di qualità sono già presenti nelle eventuali carte dei servizi o in altri provvedimenti adottati in materia. In questi casi, raccomanda la Civit, il valore programmato non potrà certo essere peggiorativo dei termini di legge o degli standard già fissati: se per ottenere un’autorizzazione la legge prevede un certo termine, il valore programmato non potrà certo essere più lungo. Anzi. L’obiettivo è proprio quello di migliorare la qualità del servizio, pertanto il valore programmato, si legge nelle linee guida, «deve basarsi proprio sull’equilibrio ottimale tra effettiva capacità dell’amministrazione di raggiungerlo e la spinta verso l’incremento del livello di qualità del servizio erogato all’utenza».
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