Il ministro Giulio Tremonti ha citato deliberatamente le pensioni, nel commentare ieri il senso della manovra finanziaria approvata dal Senato. E ha sottolineato che «le pensioni, come riformate dalla manovra, stabilizzano il nostro sistema facendone il più sostenibile in Europa e per le famiglie questo vuol dire tranquillità e serenità». Tremonti ha ragione. Il nostro sistema pensionistico ha subìto in media, negli ultimi quindici anni, una riforma più o meno radicale ogni due anni, dalla legge Dini del ’95 in qua: questo, d’ora in poi, non dovrebbe più accadere. Ma perché? Perché le novità introdotte dalla manovra sono pesanti. La prima lo è, ma è tattica, perché si limita a ritardare il collocamento a riposo dei lavoratori di qualche mese per tutti, limitando le «finestre» annuali di accesso alla pensione. La seconda è invece strategica, perché introduce nell’ordinamento un sia pur prudente meccanismo di adeguamento automatico dell’età pensionabile alle speranze di vita, rilevate periodicamente dall’Istat, che inizierà ad agire dal 2015 in poi. Insomma, da quell’anno, chi avrà maturato i 40 anni di contributi e l’età pensionabile, per andarsene a casa dovrà sperare che la statistica non dichiari aumentata l’età media del suo sesso. Se tale aumento dovesse essere riscontrato, il pensionando dovrà continuare a lavorare ancora per un po’ di mesi. Sul piano tecnico, questa seconda innovazione non fa una grinza, e una visione «assicurativa» del concetto di pensione l’avalla subito: «Tanti soldi hai versato, tanti ne incasserai, per un determinato periodo di tempo. Se vuoi una rendita più lunga (alias: se sei più longevo), o incassi meno ogni mese o versi (alias: lavori) di più». Ma applicata alla previdenza obbligatoria, la novità smentisce decenni di welfare previdenziale «solidaristico», in cui i maggiori costi delle pensioni di chi sopravviveva più delle attese statistiche erano coperti dai contributi delle nuove generazioni. Tutto questo è finito per decreto e senza concertazione! La stabilità che promette oggi Tremonti è quindi in qualche modo garantita proprio da questa scalarità dei tempi del pensionamento. Più la popolazione invecchia, più tardi potrà pensionarsi chi lavora: una specie di «riforma automatica permanente», che nemmeno gli assicuratori privati pretendono dai loro clienti. Ovvero, come qualcuno l’ha già definita, la «pensione di Tantalo»: rievocando il supplizio del mitologico mangione, condannato a non potersi cibare né dissetare pur arrivando sempre a pochi centimetri dal piatto e dalla coppa. Come con la pensione i pensionandi longevi!
La pensione di Tantalo a garanzia della stabilità
IL PUNTO
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