Le liberalizzazioni, dunque, anche se non è la sola «emergenza». «Non siamo né taxi né notai» premettono le associazioni, riferendosi al recente decreto che estende alle società in house, alle aziende speciali e alle istituzioni i divieti e le limitazioni (patto di stabilità, per esempio) cui sono sottoposti gli enti locali, ma anche alla legge 122 del 2010, fortemente contestata (entro venerdì gli emendamenti). Strumenti nati per gestire in maniera più snella i servizi culturali e turistici verrebbero «ingessati», a dispetto del prestigio conquistato nel mondo. Si fanno gli esempi dell’Auditorium e del Palaexpo a Roma, del Piccolo Teatro e della Scala a Milano.
Nel dossier idee semplici all’apparenza, come l’introduzione di un chiaro meccanismo di destinazione «nominale» del 5 per mille dell’Irpef. Viene anche chiesta la possibilità di convogliare l’8 per mille dell’Irpef a musica e teatro. E poi la certezza pluriennale dei finanziamenti pubblici, senza la quale pure attrarre i privati diventa tortuoso. «Nel 2011 – racconta Roberto Grossi, presidente di Federculture – nonostante la crisi il consumo di cultura è cresciuto del 4%. Nell’ultimo trimestre quel dato si sta erodendo, rischiamo una flessione generale del 20%. Tradotto, un arretramento per milioni di euro della ricchezza del Paese».
Nell’ottica di attrarre imprese private, sarebbe utile, secondo lo studio, stabilire la piena deducibilità per le donazioni a favore degli enti che si prendono cura del patrimonio (ora c’è un tetto) e l’allineamento dell’aliquota Iva a quella europea, molto più bassa. «Non ci sono solo il Colosseo e Pompei, noi tutti abbiamo bisogno d’ossigeno» osserva Andrea Ranieri, responsabile cultura dei Comuni italiani.
Il 24 il sottosegretario Roberto Cecchi incontrerà Federculture che chiederà la creazione di un fondo per gli immobili trasferiti agli enti locali; più trasparenza e più risorse per la società Arcus che sostiene i progetti culturali; la destinazione di parte della tassa di soggiorno ai tesori d’arte. Sui giovani impiegati nel settore: «La precarietà non aiuta, serve uno standard contrattuale».
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