E’ difficile «fissare obiettivi di riduzione della pressione fiscale». Così il presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino, ha dato una mano alla coppia Berlusconi-Tremonti, che di abbassamento del peso tributario non ama sentir parlare, pur avendo assunto impegni precisi dal lontano ’94. Che non sia facile, per un politico, far calare il peso del fisco è noto. Basterebbe guardare con quanto giubilo gli amministratori locali accolgano le prospettive di nuove forme impositive (tassa di scopo, di soggiorno, sui cani …) per capire che i reggitori della cosa pubblica preferiscono disporre di somme più elevate piuttosto che rinunciare a qualche spesa. Tuttavia esistono due strade, che il centro-destra non vuole imboccare. C’è la dismissione del patrimonio pubblico: si va dalle aziende degli enti locali, alle partecipazioni azionarie dello Stato, e ovviamente agli immobili (e bisognerebbe avere il coraggio di parlare anche dei beni culturali). Negli ultimi giorni si sono levate voci, non solo giornalistiche, per indicare la diminuzione della presenza pubblica come strumento di ripiano del debito pubblico, particolarmente in vista delle pesanti decisioni europee. C’è, poi, la diminuzione della spesa. Tremonti ha sollevato le ire dei colleghi di governo per i tagli, apparsi dolorosi soprattutto a Bondi e alla Gelmini. Si tratta, però, d’iniziative episodiche, laddove ci sarebbe bisogno di vere riforme. Si spazia dai costi della politica, al permanere di enti superflui: e non sono soltanto le province sovrapposte alle regioni (se si potesse, sarebbero queste ultime da sopprimere), o le comunità montane, ma pure centinaia di comuni che rimangono in immotivata e costosa vita. Poi, i grandi settori: pensioni, sanità, enti territoriali. Se si continua a eludere la questione, il presidente Giampaolino potrà l’anno prossimo ripetere che è difficile calare le tasse.
La Corte dei Conti conferma Tremonti
LA NOTA POLITICA
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