La condanna blocca la dirigenza

Niente incarichi a chi è stato censurato per illeciti contro la Pa

Il Sole 24 Ore
26 Aprile 2013
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Dal 4 maggio una sentenza di condanna, anche non definitiva, per reati contro la Pubblica amministrazione escluderà di fatto chi ne è colpito dalle caselle di vertice dell’organigramma pubblico. Un’esclusione che riguarderà non solo i vari livelli di governo, cioè lo Stato con le sue articolazioni, le Regioni, le Province e i Comuni, ma anche gli enti di diritto privato che svolgono funzioni amministrative e sono controllati da una Pubblica amministrazione, o si vedono da questa nominare i vertici.
Mancano 10 giorni all’entrata in vigore del Dlgs 39/2013 (su cui si veda anche «Il Sole 24 Ore» del 20 aprile), che attua l’incarico conferito al Governo Monti dalla legge anticorruzione (articolo 1, commi 49 e 50 della legge 190/2012) e introduce una griglia di incompatibilità e inconferibilità destinata a incidere profondamente sull’organizzazione di tutte le amministrazioni pubbliche, con effetti ancora da studiare.
Il primo punto, quello delle «incompatibilità» che vietano agli ex politici di transitare ai vertici dell’amministrazione (e viceversa, impedendo per esempio ai segretari e ai dirigenti comunali di presentarsi alle elezioni nella loro regione), rappresenta per certi versi una prosecuzione in forme più profonde di precedenti interventi per bloccare le porte girevoli fra politica e amministrazione. Il capitolo delle «inconferibilità», che impediscono l’attribuzione di incarichi di vertice a chi è stato colpito da una condanna per reati contro la Pubblica amministrazione, è invece per molti aspetti inedito.
L’aspetto cruciale è rappresentato dal fatto che anche una condanna non definitiva chiude le porte agli incarichi dirigenziali, tranne ovviamente quando viene ribaltata da un successivo grado di giudizio. I reati che fanno accendere il semaforo rosso sono quelli elencati dal Libro II, Titolo II, Capo I del Codice penale, e contemplano un amplissimo ventaglio di casi che abbraccia anche abuso d’ufficio, rifiuto di atti d’ufficio o interruzione di servizio pubblico. 
La norma introduce elementi minimi di gradualità in base alla gravità del reato, ma il loro effetto sarà da verificare alla prova pratica. Nella durata dell’inconferibilità la regola generale prevede uno stop di cinque anni, che può essere ridotto solo se la condanna non è per peculato, concussione, corruzione o corruzione in atti giudiziari (in questi casi è prevista infatti un’inconferibilità di durata doppia rispetto alla pena principale, comunque entro il tetto dei cinque anni). Quando la condanna è accompagnata dalla pena accessoria dell’interdizione ai pubblici uffici, è quest’ultima a determinare la durata dell’esclusione, che quindi può diventare perpetua insieme all’interdizione.
Chi viene colpito da questa misura, si vede sbarrare la strada verso gli incarichi amministrativi di vertice (segretario generale, capo dipartimento, direttore generale) ma anche quelli dirigenziali di qualsiasi tipo negli enti pubblici (compresi i posti da direttore generale, sanitario o amministrativo nelle Asl), e non può ambire al ruolo di presidente con deleghe o amministratore delegato negli enti pubblici né in quelli privati controllati dalla Pa. Il dirigente di ruolo colpito dalla condanna può svolgere un ristretto novero di incarichi che non prevedano gestione di risorse o acquisti di beni e servizi, altrimenti viene posto a disposizione senza incarico; se la sentenza riguarda un esterno alla Pa, il suo incarico è sospeso e l’amministrazione può cancellarlo del tutto.
@giannitrovati
gianni.trovati@ilsole24ore.com
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I punti chiave

01|I REATI
L’«inconferibilità» degli incarichi dirigenziali è prevista in caso di sentenza, anche non definitiva, per i reati contro la Pubblica amministrazione

02|IL BLOCCO
Viene prevista l’impossibilità di conferire incarichi dirigenziali per cinque anni, oppure per un tempo doppio alla pena accessoria dell’interdizione (non nei casi di corruzione, concussione e peculato, per i quali il minimo è cinque anni). Se l’interdizione è perpetua, è a tempo indeterminato anche l’inconferibilità

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