Era finalmente stata approvata a fine ottobre, grazie soprattutto alla spinta dei tanti scandali scoppiati negli ultimi mesi. Dopo due anni segnati da lunghe pause e da continui veti incrociati, forse il solo Ministro Severino si è spesa per tesserne le lodi, ma nessuno tra i partiti che l’hanno sottoscritta ha manifestato davvero entusiasmo per il provvedimento varato in Parlamento. Tuttavia forse pochi si aspettavano una critica così severa da parte della Suprema Corte di Cassazione, che in ventuno pagine a cura del suo ufficio studi non usa mezzi termini per mostrare tutti i limiti della nuova legge. Ambigua in alcuni punti, di difficile interpretazione in altri: la radiografia della Suprema Corte è impietosa. L’effetto principale del nuovo testo, illustra la Cassazione, sarebbe essenzialmente quello di “privatizzare la tutela”, in una chiave del tutto alternativa a quella che vede in prima linea tanto le Nazioni Unite quanto il Consiglio d’Europa, il cui scopo sarebbe invece quello di “reprimere tout court la corruzione privata in quanto minaccia per la stabilità e la sicurezza sociali”. Addirittura, la Cassazione individua, nella nuova legge anticorruzione, la problematica “compresenza nel sistema di tre previsioni delittuose tra loro contigue”, rispondenti ai nomi di “corruzione, concussione e induzione indebita”. Ma è nella corruzione tra privati che l’impianto su cui poggia la legge crollerebbe di schianto. Nei casi in cui, per esempio, vengano pagate tangenti ad un dirigente di impresa per essere favoriti in una gara d’appalto. “Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi”, recita il nuovo testo dell’articolo 2635 del codice civile, come sostituito dalla nuova legge. In questo modo, osserva la Cassazione, non viene punita la corruzione in quanto tale, ma solo in caso di danno patrimoniale. È cambiato il nome della legge, ma non la sostanza – questo, in sintesi, il parere – e sarà l’impresa stessa a giudicare se i comportamenti corruttivi debbano essere puniti o meno. Secondo l’ufficio studi della Cassazione si tratta insomma di una modifica che non risponde alle richieste dell’Europa e non è adeguata agli obblighi internazionali che l’Italia si è assunta in materia. Il vulnus che snatura la legge dai principi originari che la animano, a parere dei giudici, sarebbe dunque quello di lasciare “l’intervento circoscritto alle società commerciali, continuando a punire la corruzione non in quanto tale”, e dunque solo nelle eventualità in cui questa si dimostri lesiva dei patrimoni societari. In sostanza, una normativa che non si adegua agli standard del diritto internazionale e, anzi, rischia di generare nuovi corti circuiti nelle fattispecie i reato messe in evidenza dalla Cassazione. Il cui parere, a questo punto, essendo conclusi i lavori parlamentari, non è vincolante e quindi ha il solo esito di limitarsi a fotografare una possibile evoluzione del quadro di contrasto ai fenomeni corruttivi che si verrà a creare con le nuove disposizioni. Un quadro che, a detta dei giudici, è tutto fuorché roseo.
>> Scarica la relazione dell’ufficio studi della Cassazione
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