ROMA – Mai cosi tante, mai così velocemente. Goccia dopo goccia, firma dopo firma un rivolo di protesta è diventato torrente che si è trasformato in fiume in piena. Pronto a travolgere la privatizzazione dell’acqua. Oltre un milione e quattrocentomila firme sono state raccolte in tre mesi dal comitato promotore del referendum per difendere l’acqua come cosa pubblica e porre un freno agli «effetti del decreto Ronchi» che prevede la privatizzazione obbligatoria delle risorse idriche anche dove il pubblico ha funzionato, e bene. E ieri mattina sono state consegnate alla corte di Cassazione. Tre mesi, un milione e 400mila firme raccolte, una sfida, un record: nell’Italia repubblicana mai era stato raggiunto un numero così alto di sottoscrizioni per chiedere una consultazione referendaria. «Un risultato stupefacente visto il silenzio, il boicottaggio delle televisioni in questa battaglia di civiltà», hanno esultato i Verdi. E ora l’obiettivo dei promotori è portare alle urne 25 milioni di italiani la prossima primavera, magari in concomitanza con le elezioni amministrative. Nell’attesa chiedono al Governo «la moratoria degli affidamenti dei servizi idrici previsti dal decreto Ronchi e alle amministrazioni locali di «non dare corso alle scadenze previste dallo stesso decreto». «Perché i referendum sono indispensabili per riportare l’acqua, bene comune per la vita, nelle mani della cosa pubblica e impedire esorbitanti aumenti delle tariffe e un peggioramento della qualità del servizio», dice Paolo Ferrero di Rifondazione. Sulla stessa linea il responsabile Green Economy del Pd, Ermete Realacci, che considera il referendum, «uno strumento importante per fare pressioni sulla politica e sul Parlamento e cambiare la pessima legge del governo Berlusconi». Cambiare è la parola d’ordine in un paese dove il 30% degli italiani è senza servizi di depurazioni e fognature, dove l’acqua arriva poco e male in molte case, dove gli acquedotti sono vecchi e i fiumi inquinati, fuorilegge rispetto agli standard che ci impone per il 2012 la comunità europea. Ad elencare il cahier de doléances è il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza che va oltre il referendum, «comunque fondamentale perché è assurdo obbligare a privatizzare anche quando la gestione pubblica ha funzionato. E così come siamo messi i privati si prenderebbero solo le cose che vanno già bene, i gioielli di famiglia, lasciando irrisolte situazioni gravi come Agrigento dove bisogna ancora portare l’acqua nelle case degli abitanti». Il problema, sottolinea il presidente di Legambiente, è infatti più ampio: serve una gestione idrica complessiva in Italia dalla sorgente al rubinetto. Perché troppi sono gli sprechi nel nostro paese dove l’agricoltura usa il 60% dell’acqua e il 30 % è residenziale. «Consumiamo ad esempio acqua potabile per i servizi igienici quando in altri paesi hanno soluzioni alternative ottime». E i numeri che raccontano il nostro rapporto con l’acqua sono impressionanti: 213 litri al giorno è il consumo pro capite, 200 metri cubi per famiglia all’anno. Litri persi per amore di comodità o distrazione visto che una lavastoviglie consuma 40 litri, la lavatrice anche 120 mentre un bagno nella vasca con i suoi 160 litri vale ben più di tre docce.
La battaglia dell’acqua un fiume di firme contro la privatizzazione
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