Ogni abuso edilizio, anche se lieve, come nel caso di quelle parziali difformità assoggettate alle sole “pene” amministrative e non anche a quelle penali, va sanzionato. Tuttavia nella nostra legislazione non c’è una definizione compiuta della «parziale difformità» dell’intervento rispetto a quanto assentito dal titolo abilitativo e anche l’articolo 34 del testo unico dell’edilizia (Dpr 380/2001) si limita sostanzialmente a disciplinare l’iter sanzionatorio di questa tipologia di illecito. Il concetto di opera parzialmente difforme viene così individuato per esclusione, facendovi rientrare tutte quelle opere o lavori non riconducibili ai casi di totale difformità, oppure alle ipotesi di variazioni essenziali, la cui individuazione rientra nella competenza legislativa regionale. Esiste però un livello al di sotto del quale non si può neppure parlare di parziale difformità dell’opera ed è quello costituito dalle cosiddette «tolleranze di cantiere», cioè quegli scostamenti dai parametri autorizzati di misura talmente contenuta da non poter essere considerati un illecito edilizio e da non venire sanzionati. La misura del parametro di tolleranza viene oggi formalmente stabilito dall’articolo 5, comma 2, lettera a, n. 5), del Dl 70/2011. La norma, aggiungendo il comma 2-ter all’articolo 34 del testo unico dell’edilizia, dispone che «ai fini dell’applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2% delle misure progettuali». Così, ad esempio, se l’altezza massima di un fabbricato è stata fissata in 20 metri dal permesso di costruire, un aumento del 2%, corrispondente a 40 cm, non potrà essere qualificato come abuso edilizio e non potrà essere contestata la parziale difformità. Le ricadute sono indubbiamente positive per ciò che attiene alla certezza della posizione giuridica di chi realizza le opere, ponendo un limite oggettivo agli apprezzamenti discrezionali della Pa. In realtà, però, norme come questa erano già presenti da tempo in moltissimi regolamenti edilizi comunali e, in alcuni casi, direttamente disciplinate da leggi regionali. Anzi, il parametro della tolleranza fissato dal decreto sviluppo, pur innalzando gli indici già contemplati da molti regolamenti edilizi, risulta inferiore a quelli stabiliti dall’Abruzzo (articolo 7 della legge 52/1989) e dalla Sicilia (articolo 12 della legge 37/1985), che invece arrivano sino al 3 per cento. Peraltro, il nuovo parametro va inteso solo come un livello minimo, che il legislatore regionale non potrà disattendere poiché, diversamente, reintrodurrebbe un’ipotesi di abuso edilizio che il legislatore nazionale ha inteso escludere. Nulla vieta però che le regioni mantengano – o individuino – indici di tolleranza più elevati, magari in occasione della determinazione delle variazioni essenziali, ai sensi dell’articolo 32 del testo unico. Va comunque precisato che la nuova disposizione è destinata a operare unicamente nei rapporti con l’amministrazione, non potendo legittimare alcuna lesione dei diritti dei terzi, specie in materia di distacchi tra costruzioni. In altri termini, anche se un ampliamento del 2% del fronte di un fabbricato potrà non costituire un abuso edilizio, il vicino potrà sempre chiedere al giudice ordinario l’arretramento del corpo di fabbrica, per ripristinare le distanze eventualmente violate. Inoltre, va chiarito che il parametro di tolleranza stabilito dal decreto sviluppo non potrà in alcun modo essere invocato nel caso di interventi su immobili assoggettati a vincolo storico-artistico o paesaggistico eseguiti in difformità dalle autorizzazioni rilasciate ai sensi del Dlgs 42/2004. Ciò sia perché l’ambito di applicazione della nuova disposizione viene espressamente circoscritto alla materia edilizia, sia in quanto gli articoli 167 e 181 del codice Urbani sanzionano qualsiasi difformità rispetto all’autorizzazione rilasciata.
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