ROMA – Il percorso di risanamento dei conti pubblici non ammette sconti anche sul fronte della spesa per investimenti che, nei prossimi anni, continuerà a ridursi seguendo il percorso di riqualificazione segnato fin dall’inizio della legislatura. Non solo quest’anno si chiude Il taglio delle spese in conto capitale nel quadriennio supera i 2,5 miliardi: si passa dai 48,6 previsti nel 2011 ai 45,9 del 2014. In termini di percentuale di Pil il calo è dal 3,1 al 2,6; e già nel 2012 si scende al 2,8%. Una riduzione significativa, soprattutto per l’impatto in termini di minore sviluppo, anche se molto inferiore al calo indicato per la spesa corrente sulla quale, pure, continueranno a incidere i tagli lineari e interventi una tantum come il blocco del rinnovo del contratto nel settore pubblico. Nel documento di «analisi e tendenze di finanza pubblica» allegato al Def s’incontra una fotografia molto chiara del sentiero fissato per questa componente cruciale del conto economico dello Stato. La sua incidenza sul Pil passa dal 4,4% del 2009 al 2,6% previsto nel 2014. Un salto notevole che tuttavia, se depurato da una serie di oneri straordinari che hanno caratterizzato l’anno più duro della recessione, si ridimensiona a un -1,4%, molto meno del -2,6% messo a segno nel periodo per la spesa corrente al netto degli interessi ma comunque un ulteriore, significativo, freno per la crescita economica. Nel 2009 le maggiori spese straordinarie sostenute hanno pesato per circa lo 0,4% del Pil. Le casse dello Stato hanno dovuto fronteggiare maggiori rimborsi pregressi Irpef ed Ires per la deducibilità parziale dell’Irap, cui si sono sommate partite come il riacquisto degli immobili Scip2 degli enti previdenziali rimasti invenduti o il parziale rimborso agli ex azionisti e obbligazionisti Alitalia. Uscite per circa 4 miliardi cui si sono aggiunte le minori spese in conto capitale (992 milioni) per la ricostruzione in Abruzzo. Secondo i calcoli del ministero dell’Economia l’insieme di queste voci vale 5 miliardi. Voci che, negli anni a venire, non si ripeteranno, mentre continueranno a produrre i loro effetti i tagli sulla spesa corrente. La spesa per il personale, per fare un esempio positivo, passerà dall’11,3% del Pil del 2009 al 9,8% del 2014, anno che dovrebbe essere contrassegnato dalla trattativa per il primo rinnovo del contratto del pubblico impiego (di durata triennale) sulla base dei quattro nuovi comparti disegnati dalla riforma Brunetta. Un calo significativo è indicato poi per le spese per i consumi intermedi, che si riducono dal 9% del Pil del 2009 all’8,4% del 2014. E in discesa continueranno a correre anche altre spese correnti (dal 4,1% al 3,5% del Pil nel periodo) grazie all’esaurirsi di interventi congiunturali come il “pacchetto incentivi” o il contributo in conto interessi sui mutui a tasso variabile. Il giro di vite sulle diverse forme di contributi alle imprese sarà misurabile, per intero, solo dopo il varo delle nuove misure per lo sviluppo che il governo dovrebbe varare entro i primi giorni di maggio. Ma basta una cifra per capire che anche per questo capitolo la dote tende sempre più ad assottigliarsi: nel 2010 i contributi sono calati di 1,4 miliardi, soprattutto a causa della sottoscrizione di una serie di contratti di programma da parte delle Ferrovie dello Stato che sono arrivate solo all’inizio del 2011. Il blocco alle spese assume poi un ulteriore incidenza diretta sugli investimenti se si passa a considerare i trasferimenti alle Regioni e gli enti locali, che nel prossimo biennio sono destinati a ridursi per 14,8 miliardi. Il taglio è disposto dal nuovo Patto di stabilità interno e resta al centro della trattativa tra Stato, Regioni ed enti locali in vista dell’entrata in vigore dei decreti attuativi del federalismo fiscale. Ma quando quei tagli produrranno i loro effetti lo faranno su livelli di governo che hanno già stretto la cinghia delle spese per investimenti, com’è avvenuto nell’anno che s’è appena concluso, con un calo di spesa per altri 2,9 miliardi. A restare sostanzialmente in linea nei prossimi anni saranno le prestazioni sociali in denaro (valgono il 19,2% del Pil) grazie alle ulteriori stabilizzazioni introdotte sul fronte previdenziale e nell’ipotesi di un minor intervento previsto per finanziare gli ammortizzatori sociali.
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