La lentezza stavolta rischia di costare, e anche parecchio. Per questa ragione al ministero per i Rapporti con le Regioni hanno messo in piedi una sorta di potere “sostitutivo”, che sui fondi troppo invecchiati fa intervenire direttamente lo Stato nell’assegnazione al posto della Regione in difficoltà. Lo scopo è quello di evitare la restituzione automatica a Bruxelles, che ora scatta senza aspettare il termine del ciclo di programmazione ma riporta direttamente all’Unione europea i fondi parcheggiati per due anni. Sotto osservazione ora ci sono i fondi relativi a due anni fa, e le verifiche sono state avviate proprio in queste settimane. Il piano di monitoraggio messo a punto dal «comitato di sorveglianza» istituito dal ministero di Raffaele Fitto prevede infatti due passaggi: entro maggio devono risultare impegnate tutte le risorse programmate da due anni, ed entro ottobre va speso almeno il 70% del target. Le verifiche ministeriali, come accennato, sono appena iniziate, e i primi risultati si avranno fra poche settimane. Le premesse, però, non sono incoraggianti: la rendicontazione sui fondi europei di sviluppo regionale (Fesr) deve fare lo screening di 6 miliardi di euro, ma fra 2007 e 2010 la spesa si è fermata a 2,8, cioè a meno della metà della quota. Il problema, almeno in partenza, appare distribuito in maniera abbastanza omogenea fra le Regioni dell’obiettivo Convergenza: per la Campania va tastato il polso a 1,2 miliardi di euro, in Sicilia la cifra in gioco è di 930 milioni, la Puglia deve mettere sul tavolo della verifica 823 milioni, la Calabria 472 e la Basilicata 136. Alle somme legate al Fondo europeo di sviluppo regionale si aggiungono quelle del Fondo sociale (Fse), circa 930 milioni nelle cinque Regioni: la fetta più consistente è in questo caso quella siciliana (373 milioni), seguita da Puglia (194 milioni), Campania (155), Calabria (135) e Basilicata (73). Le incertezze nella gestione dei fondi europei rischiano di costare anche in prospettiva; lo ha chiarito lo stesso ministro Raffaele Fitto che ad aprile, nel corso del suo confronto con le Regioni interessate, ha spiegato che se la macchina della gestione migliora le proprie performance l’Italia ha la possibilità di spuntare risorse anche nel prossimo ciclo di programmazione, che partirà nel 2014; in caso contrario, l’ondata di fondi europei che nel ciclo attuale dedica 44,1 miliardi di euro al solo sviluppo regionale rischia di tramutarsi in ricordo. Ma non sono solo i meccanismi e le scelte comunitarie a mettere in pericolo la gestione della dote regionale. Il decreto Sviluppo ora in discussione in Parlamento per la sua conversione in legge (Dl 70/2011), per esempio, introduce il credito d’imposta per le imprese che fanno crescere l’occupazione del Mezzogiorno, e dirotta sull’incentivo una quota dei soldi del Fesr(a patto che la Commissione Europea non si metta di traverso); un decreto dell’Economia, però, stabilirà in ogni territorio limiti al finanziamento del bonus proporzionali ai ritardi con cui la Regione ha utilizzato le risorse europee. Tutto questo in attesa dell’entrata in vigore del federalismo fiscale, che con il Dlgs sugli «interventi speciali» approvato giovedì arriva a prevedere il commissariamento delle amministrazioni troppo pigre nella gestione dei fondi Ue.
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