Trasformazione digitale: le difficoltà per i Piccoli Comuni
“Il piano” scrive Vetritto, “evidenzia uno sforzo significativo ma anche una qualche genericità nell’approccio. Il problema è noto. Quando si parla di “Amministrazione digitale” si fa riferimento a un concetto generico, che tiene insieme Ministeri giganteschi e dotati di strutture di gestione della tecnologia potenti (e in qualche caso perfino pletoriche) e Comuni di 46 abitanti dotati come organico stabile di una brava signora che stampa i certificati e di un manutentore, integrati da un segretario comunale, un geometra e un ragioniere, ognuno a scavalco con altri enti consimili e dunque presenti per poche ore a settimana. Che quest’ultima tipologia di enti possa assumere oneri, obblighi e funzioni analoghe a quelli del Ministero dell’esempio è cosa ben difficile da immaginare”. La conseguenza, sottolinea Vetritto, sarebbe quello di tagliare fuori dal processo di innovazione poco meno di 1 italiano su 5.
I rimedi
Che fare, dunque? Come poter consentire a queste realtà territoriali di restare ancorate al Piano triennale? Vetritto individua alcune scelte operative da integrare nel Piano, fra cui “mettere a disposizione dei Comuni e delle Province, a sportello e non a bando, le risorse finanziarie indispensabili a integrare i verticali con i sistemi gestionali di cui già dispongono… Attivare dei potenziatori del sistema, siano essi aggregazioni e consorzi tra Comuni che già condividono le soluzioni tecnologiche, siano Province che nel deployment dei servizi tecnologici ai Comuni dei propri territori assumono una delle loro nuove funzioni postreferendarie”.
Queste e altre condizioni possono portare a risultati positivi. “Altrimenti” avverte Vetritto “si amplierà il divario tra coloro che avranno la capacità e le condizioni obiettive per approfittarne e gli altri, confinati in un Ottocento amministrativo non più tollerabile”.
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