Incostituzionale per violazione del principio di proporzionalità l’obbligo di pubblicare online i dati sul reddito e sul patrimonio dei dirigenti pubblici

Con la sentenza n. 20 la Corte Costituzionale dichiara illegittima la disposizione che estendeva a tutti i dirigenti pubblici gli stessi obblighi di pubblicazione previsti per i titolari di incarichi politici

22 Febbraio 2019
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di AMEDEO SCARSELLA

Cade l’obbligo previsto dall’art. 14, comma 1-bis, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 di pubblicare online i dati personali sul reddito e sul patrimonio dei dirigenti pubblici diversi da quelli che ricoprono incarichi apicali nelle amministrazioni statali (art. 14, comma 1, lett. f). L’obbligo di pubblicazione viene preservato, invece, per tutti i dirigenti pubblici relativamente ai compensi di qualsiasi natura connessi all’assunzione della carica nonché per le spese relative ai viaggi di servizio e alle missioni pagate con fondi pubblici (art. 14, comma 1, lett. c).
Con la sentenza n. 20 depositata ieri, la Corte Costituzionale ha infatti dichiarato illegittima la disposizione che estendeva a tutti i dirigenti pubblici gli stessi obblighi di pubblicazione previsti per i titolari di incarichi politici, accogliendo, in parte, le perplessità avanzate in merito alla costituzionalità della norma dal TAR del Lazio (ordinanza n. 9828 del 19 settembre 2017), ritenendo tale disposizione in contrasto con il principio di proporzionalità, cardine della tutela dei dati personali e presidiato dall’articolo 3 della Costituzione. Ricordiamo che la norma oggetto di dichiarazione di incostituzionalità, imponeva la pubblicazione dei compensi percepiti per lo svolgimento dell’incarico e i dati patrimoniali ricavabili dalla dichiarazione dei redditi e da apposite attestazioni sui diritti reali sui beni immobili e mobili iscritti in pubblici registri, sulle azioni di società e sulle quote di partecipazione a società. Questi dati, in base alla disposizione censurata, dovevano essere diffusi attraverso i siti istituzionali e potevano essere trattati secondo modalità che ne avessero consentito l’indicizzazione, la rintracciabilità tramite i motori di ricerca web e anche il loro riutilizzo.

L’atto che ha promosso il giudizio di costituzionalità
Con ordinanza n. 9828 del 19 settembre 2017, il TAR Lazio, Sez. I quater, aveva ritenuto “rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1 bis e comma 1 ter, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, inseriti dall’art. 13, comma 1, lett. c), d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97, nella parte in cui prevedono che le Pubbliche amministrazioni pubblichino i dati di cui all’art. 14, comma 1, lett. c) ed f) dello stesso decreto legislativo anche per i titolari di incarichi dirigenziali, per contrasto con gli artt. 117, comma 1, 3, 2 e 13 Cost.”.
Il TAR aveva sollevato la questione di costituzionalità premettendo che i principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza costituiscono il canone complessivo che governa l’equilibrio del rapporto tra esigenza, privata, di protezione dei dati personali, ed esigenza, pubblica, di trasparenza. In particolare, aveva considerato, quanto alla equiparazione dei dirigenti pubblici con i titolari di incarichi politici, originari destinatari della prescrizione di cui all’art. 14, comma 1, d.lgs. n. 33 del 2013..

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Redazione

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