Una passione irresistibile. C’è da pensare così – a voler essere benevoli – di fronte all’esercito di candidati che si prepara a scendere in campo nelle amministrative di domenica e lunedì prossimi. Un fiume di liste, infarcite di migliaia di (quanto meno) aspiranti consiglieri, seppure nel fondo animati dalla speranza di riuscire ad agguantare una poltrona da assessore provinciale o comunale. Soltanto nei 30 capoluoghi di provincia pronti al rinnovo dei consigli municipali, se si mettono in fila tutti i nomi che compaiono sui manifesti elettorali si arriva alla cifra di 20mila candidature. E anche se si considera la presenza di tre grandi comuni come Napoli, Torino e Milano – che messi insieme raccolgono oltre 4mila aspiranti – il numero finale resta comunque rilevante. E se ne ha conferma scorrendo i 1.139 candidati in lizza a Cagliari o i 1.028 di Cosenza o ancora gli 812 di Crotone e gli altrettanti (806) di Trieste. La vera cartina di tornasole della corsa alla politica è però rappresentata dal numero di liste: una vera e propria proliferazione, che nei comuni capoluogo di provincia raggiunge la quota complessiva di 629 compagini. Si va dal record torinese (37 liste) alle 31 di Napoli, che “batte” Milano di un’incollatura (2 partiti in più). Ma se la situazione torinese, partenopea e meneghina può avere in qualche modo una spiegazione, essendo città che contano un milione di abitanti o giù di lì, che dire della performance cosentina (33 liste) o dell’affollata scena cagliaritana, dove le compagini sono 31? Realtà con una popolazione di poco superiore alle 70mila unità nel primo caso e alle 150mila nell’altro. Niente è, però, più esaustivo del confronto con il panorama elettorale di cinque anni fa, quando i municipi che domenica andranno al voto (o almeno una gran parte di loro, perché alcuni si recarono alle urne l’anno successivo) elessero i consigli ora in scadenza. Ebbene, se si prendono in considerazione i comuni che oggi schierano 25 o più liste – che, almeno fra i capoluoghi di provincia, sono ben undici – il raffronto segnala un aumento medio del 13 per cento dei simboli di partito (si veda la tabella). Certo, ci sono anche situazioni dove le liste sono diminuite – a Milano si è passati da 34 a 29; ancora più consistente il calo a Reggio Calabria: da 36 a 25 – e a Torino il conto risulta in pareggio. In tutti gli altri casi, però, le compagini crescono: a Cosenza si passa da 19 a 33 partiti, a Caserta da 18 a 25, a Crotone da 20 a 27, a Cagliari da 25 a 31. Una parte della spiegazione la si può trovare nella più accentuata frammentazione a livello nazionale. Rispetto a cinque anni fa anche il quadro politico centrale si è frastagliato: sono nate l’Api e Fli, Pionati ha lasciato l’Udc e fondato un proprio gruppo, la crisi nel centrodestra ha partorito i Responsabili. Da solo questo elemento, però, non basta a dare ragione dell’affollarsi di gruppi. Come anche in passato, ma questa volta in modo più massiccio, si affacciano alla competizione le liste civiche: ce ne sono in ogni dove e per tutti i “gusti”. A loro può per buona parte essere attribuita la responsabilità di questa bulimia politica, che appare a tratti paradossale, se si pensa che le candidature aumentano proprio mentre calano i posti da consigliere. Infatti, per effetto del taglio voluto dal ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, le poltrone da assegnare con il voto di domenica nei municipi e nelle province saranno di meno. Nelle undici province che si recheranno alle urne – dove si presentano complessivamente 197 liste per un totale di 4mila candidati – i posti a disposizione sono 264, ovvero 64 in meno rispetto alle precedenti consultazioni. Ancora più sproporzionata la situazione nei comuni: 1.032 scranni da consigliere (194 in meno) per 20mila candidati. Ma questo non pare assolutamente spaventare le migliaia di aspiranti. Anche perché molti di loro, pur essendo consapevoli della difficoltà (se non dell’impossibilità) del l’impresa, si buttano comunque nella competizione per tentare di conquistare un pacchetto di voti attraverso il quale, anche in caso di sconfitta, dimostrare il loro peso. Una dote di preferenze da giocare magari come elemento di pressione su sindaci o presidenti di provincia in caso di ballottaggio o da spendere in occasione di prossime tornate elettorali. Anche per questo a livello locale proliferano le liste civetta, create per portare acqua al mulino dei candidati più forti, o quelle “tematiche” (un esempio è quella dei pensionati), capaci di intercettare gli interessi di determinate fasce dell’elettorato. A livello locale, d’altra parte, le logiche sono in parte diverse da quelle romane. Lo dimostra il gioco delle alleanze, che scompagina il quadro offerto dal Parlamento nazionale. Insomma, se conquistare la vittoria è più difficile che in passato – e all’apparenza ha meno appeal, visto che la cura dimagrante ha colpito pure gli emolumenti di presidenti di provincia, sindaci, assessori e consiglieri – la febbre per la politica non smette di salire.
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