Il 42,5% del disavanzo sanitario accumulato in Italia dal 2001 al 2009 dipende dalle cinque regioni del Sud che, in tutto questo tempo, avranno anche lavorato per razionalizzare costi e servizi rivolti ai loro assistiti, eppure gli sforzi compiuti non appaiono ancora sufficienti. Questo il quadro che emerge dai dati del “Rapporto Oasi 2010” curato dal Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale dell’Università Bocconi, uno studio che, come di consueto, analizza punti di forza e di debolezza delle aziende sanitarie attive in Italia. Il disavanzo storico. Il Sud, com’è fin troppo facile immaginare, non se la passa benissimo: nei nove anni presi in considerazione Campania, Sicilia, Puglia, Calabria e Basilicata hanno accumulato un deficit di 15,2 miliardi a fronte dei 35,78 miliardi del dato complessivo italiano. Primeggia la Campania, con un buco “storico” di 7,96 miliardi: peggio, a livello nazionale, ha fatto soltanto il Lazio che ha sforato di ben 12,32 miliardi. Per restare al Mezzogiorno, seguono la Sicilia, il cui disavanzo 2001-2009 si attesta sui 4,33 miliardi, Puglia (1,56 miliardi), Calabria (1,13 miliardi) e Basilicata, dove lo sforamento nei nove anni presi in considerazione vale solo 213 milioni. Secondo il Rapporto Oasi, in questi nove anni ogni cittadino campano ha scontato un disavanzo di 1.370 euro, il deficit procapite dei siciliani è di 861 euro. Cifre più contenute in Calabria (563 euro), Puglia (384 euro) e Basilicata (360 euro), regioni meno popolose. Il picco del 2005. Di particolare interesse anche l’evoluzione anno dopo anno del buco: il deficit sanitario delle cinque regioni del Sud, relativamente al solo 2009, è di 1,49 miliardi ossia il 45,8% della performance nazionale. Un dato meridionale più alto rispetto a quello del 2001, quando il deficit si attestava sugli 1,46 miliardi (35,5% del disavanzo italiano), ma molto più contenuto rispetto al picco del 2005, quando insieme le cinque regioni del Mezzogiorno registravano un buco di 2,8 miliardi contro i 5,7 miliardi dello sforamento nazionale. Numeri pesanti se consideriamo che l’accesso a finanziamenti integrativi da parte delle regioni è da tempo subordinato all’adozione di iniziative di copertura dei deficit stessi. Le leve mosse, per rientrare, sono state ovviamente quelle fiscali ma con strategie molto diverse a seconda della regione. A ciascuno il suo fisco. Il Rapporto Oasi rileva allora che sul fronte Irpef la Puglia nel 2010 ha deciso di eliminare l’addizionale regionale «ma verosimilmente dovrà reintrodurla a seguito dell’approvazione del Piano di Rientro». Campania, Calabria e Sicilia hanno optato «insieme al Lazio, per un’aliquota proporzionale». Sul fronte Irap poi Campania, Calabria e Sicilia «hanno deliberato, nel corso degli anni, diversi aumenti di aliquota per alcuni soggetti giuridici (tipicamente banche e soggetti finanziari e assicurativi) anche se, contemporaneamente e come nel resto delle regioni italiane, sono state previste delle agevolazioni a favore di particolari categorie di soggetti». A un livello più generale, comunque, lo studio registra il carattere de facto asimmetrico del federalismo sanitario italiano: «In linea di principio – scrivono gli studiosi -, tutte le regioni godono di un’ampia autonomia; nei fatti, moltissime regioni (quasi tutte del Centro-Sud) sono state private almeno temporaneamente di tale autonomia tramite l’assoggettamento ai Piani di Rientro e, in alcuni casi, il commissariamento». La riorganizzazione. I ricercatori della “Bocconi” puntano poi la lente anche sulle strategie di riorganizzazione del sistema sanitario da parte delle singole regioni. Sul fronte delle Asl emerge che dal ’95 al 2010 in Campania le aziende passano da 13 a 7, in Puglia da 12 a 6, in Basilicata da 5 a 2 in Calabria da 11 a 6 mentre in Sicilia, regione a Statuto speciale, restano 9. Per quanto riguarda le aziende ospedaliere, nello stesso arco di tempo, in Campania si passa da 7 a soggetti, in Puglia da 4 a 2, in Sicilia da 16 a 5 mentre in Calabria restano 4 e in Basilicata uno. La spesa procapite. Al di là di tutti i ragionamenti possibili intorno al rientro del deficit storico, resta un dato: la spesa sanitaria procapite al Sud resta spesso e volentieri inferiore a quella registrata nelle regioni settentrionali: Puglia (1.744 euro per assistito), Campania (1.724 euro), Basilicata (1.719 euro), Calabria (1.679 euro) e Sicilia (1.646 euro) sono lotnae dagli standard della provincia autonoma di Bolzano (addirittura 2.243 euro) e della Valle d’Aosta (2.067 euro). Siamo insomma ai soliti paradossi: dove la sanità grava di più in termini fiscali, offre al tempo stesso meno al cittadino.
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