I numeri dicono che hanno perso quanti si opponevano a questi referendum sostenendo che fossero basati su mistificazioni. Ma con i numeri le mistificazioni sono venute alla luce del sole: le cose non sono più semplici, ma almeno sono più chiare. Si parla di referendum, ma si intendono quelli sull’acqua. Infatti il risultato di quello su legittimo impedimento era sostanzialmente indifferente perfino all’unico interessato. Quello sul nucleare per diversi anni non cambia nulla sul piano pratico (chi avrebbe comunque osato proporci di impiantare centrali che non abbiamo quando Angela Merkel decide di spegnere quelle che ha?): l’unica cosa che potevamo fare era un po’ di ricerca, e questa ce la precludiamo. Già importiamo tecnologia del solare e dell’eolico, vorrà dire che, quando ci si accorgerà che dell’atomo non si può fare a meno, importeremo anche quella del nucleare. Invece i temi in gioco nei referendum sull’acqua attengono alla cultura politica ed economica entro cui si definisce il ruolo dello Stato: quello che è uscito vincente dalle urne è il modello in cui costruzione di infrastrutture e fornitura di servizi devono essere realizzate dalla mano pubblica, finanziate dalla fiscalità generale. C’è anche un effetto performativo dei referendum. Ha perso il centrodestra. L’onda dell’antistatalismo che l’aveva portato al potere era innanzitutto rigetto del sistema partitocratico, consapevolezza che la proprietà pubblica dei mezzi di produzione produce inefficienza e metastatizza in corruzione, a livello municipale perfino peggio che a livello nazionale. Il referendum è stato perso perché gli italiani non si ricordano più che gestione pubblica è gestione dei partiti, e i partiti sono quello che sappiamo. Se non ricordano è perché la strategia simbolica del centrodestra è andata progressivamente nella direzione opposta. Non erano di lì che venivano gli impegni a ridurre l’invadenza dello stato, a ridurre il prelievo fiscale eccedente il 33%, a spostare il peso dell’imposizione dalle persone alle cose? A sentire Vendola è stata sconfitta la cultura delle privatizzazioni: ma quella cultura non appartiene a una maggioranza che non a caso in tutti gli anni che è stata al potere ha privatizzato solo i tabacchi e i bagnasciuga. La mistificazione si è svelata: questo centrodestra, indifferente per lo strapotere della politica nei servizi locali, è la prosecuzione della prima repubblica. Non ha vinto la sinistra: c’era un presente da coltivare, la voglia degli italiani di partecipare, il loro bisogno di fare punto e a capo. C’era un passato da difendere, le privatizzazioni e liberalizzazioni per cui si era spesa la parte migliore di quella classe politica. Era necessario il duplice imbroglio, sconfessare un passato per sfruttare il presente, col risultato di ipotecare il futuro? Eppure ci deve essere ancora qualcuno tra loro che sa la differenza tra sovrastruttura politica e struttura dei rapporti di produzione. Come dar torto a chi, come Nicola Rossi su questo giornale, ritiene che quel passato fosse solo una vernice acquistata per convenienza, dunque una mistificazione svelata dai referendum? Pesa, in molti casi, la “trahison des clercs”. In una situazione inquinata fin dall’inizio dal populismo, esaltato dalle emozioni per le catastrofi, sarebbe stato necessario un impegno straordinario per far capire che non ha senso tutelare una cosa che manifestamente non funziona (la gestione dell’acqua in Italia oggi) per uno spauracchio inesistente, quello della privatizzazione. Se tra le cause della perdita di produttività del Paese c’è la pervasività della politica, poche grandi aziende, pochi investimenti esteri, una tassazione eccessiva ed opaca, timida cultura della concorrenza, ci andava un di più di impegno per rendere avvertiti dei danni di referendum che diffondono pregiudizi verso il privato, diffidenza sugli effetti della competizione, inclinazione a nascondere la realtà dei costi dietro l’opacità dei prezzi. Questa maggioranza, lo scriveva anche il noto special report dell’Economist, non ha neppure scalfito il problema del nostro calo di produttività: il referendum offriva gli argomenti per mettere in difficoltà il Governo con argomenti propri. Abbiamo perso anche quanti, quorum ego, abbiamo dovuto difendere una legge, il decreto Ronchi, con tante manchevolezze (una per tutte la mancanza di un’Autorità come si deve) e tante incongruenze.
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