Chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto. Il parere con cui il ministero dell’Interno blocca la multa per mancata indicazione del conducente quando il proprietario di un veicolo presenta ricorso contro la sanzione all’origine di tale multa (si veda «Il Sole-24 Ore» di ieri) non dà diritto alla restituzione dei soldi a chi invece l’ha già pagata. Solo chi non lo ha fatto e ha ricevuto il verbale da non più di 60 giorni è in tempo per presentare un ulteriore ricorso contro la multa per mancata comunicazione. Fermo restando che il parere ministeriale – per quanto fondato e autorevole – non è vincolante per un giudice. Il parere è stato emesso prima della riforma del codice della strada ( legge 120 del 29 luglio scorso), ma resta applicabile anche oggi perché nulla è cambiato in materia di mancata indicazione del conducente. La riforma ha invece introdotto significative novità sui ricorsi. La mancata indicazione. Dal gennaio 2005, a seguito della sentenza 27/05 della Consulta, il silenzio sull’identità del trasgressore non comporta più la decurtazione dei punti per il proprietario ma ha un “prezzo”: una multa supplementare, oggi di 263 euro (fino a ottobre 2006 era di 357). Può evitarla solo chi ha un «documentato e giustificato motivo» per non riuscire a risalire al conducente. Una delle motivazioni addotte più di frequente è il fatto che il veicolo sia abitualmente utilizzato da più persone, sia in famiglia sia in azienda. Ma ciò si è spesso trasformato in un boomerang: la Cassazione ha più volte affermato che proprio questa pluralità di utilizzatori deve indurre il proprietario a organizzarsi per identificare sempre chi guida. Peraltro, anche prima che il problema si ponesse per la patente a punti (2003) non poche aziende avevano dotato la propria flotta di un diario di bordo. Il giustificato motivo sembra dunque più ricollegabile a fatti contingenti e non dipendenti dalla volontà del proprietario. Come, per esempio, un malore mentre guidava, che gli aveva impedito di capire chi ha poi preso il volante e che va però adeguatamente comprovato. Oppure l’effettuazione occasionale di un viaggio lungo in cui ci si è alternati alla guida. La comunicazione dei dati del conducente va fatta nei tempi e nelle circostanze sintetizzate nello schema a fianco. I ricorsi. La riforma ha riguardato solo i ricorsi al giudice di pace (articolo 204-bis del codice), innanzitutto chiarendo quali sono gli organi da chiamare in causa. Un’indicazione necessaria, in quanto di recente la Cassazione ha interpretato le norme precedenti invalidando alcuni ricorsi. Ora si deve agire contro il prefetto quando l’infrazione viene accertata da organi statali e contro regioni, province e comuni quando il verbale viene dai rispettivi corpi di polizia locale. La riforma specifica che nel corso del procedimento le notifiche possono essere fatte anche per fax o e-mail “certificata”. L’udienza va fissata entro 30 giorni dalla notifica (nelle grandi città i tempi attuali sono molto superiori, ma ciò non influirà sull’esito del giudizio perché il nuovo termine non sembra perentorio). È stato chiarito che, quando il giudice dà torto al cittadino, la multa va pagata entro 30 giorni dalla notifica della sentenza. Il versamento deve essere effettuato con le modalità indicate dall’amministrazione cui appartiene chi ha accertato l’infrazione; in pratica, o su un conto corrente oppure in un ufficio competente dell’amministrazione.
Il ricorso non apre ai rimborsi
Codice della strada. Gli effetti del parere ministeriale sulla mancata indicazione del conducente
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