Ci hanno provato in ogni modo, sia le regioni a statuto ordinario sia quelle autonome, a forzare le maglie della stabilizzazione del personale precario fissate nella Finanziaria 2007, e puntuale è arrivato lo stop da parte della Corte costituzionale. Ieri è stata la volta della Sardegna, che nella sentenza 235/2010 (presidente Amirante, relatore Mazzella) si è vista chiudere la strada verso il posto fisso pensata per i precari dalla legge regionale 3/2009 (articolo 3). La norma voleva permettere alla regione di finanziare programmi di stabilizzazione da parte degli enti locali, da destinare ai titolari di contratti flessibili con un occhio di riguardo per chi avesse almeno 30 mesi di servizio. Nel caso dei precari di regione ed enti collegati, invece, la stabilizzazione si sarebbe rivolta a chiunque fosse stato coinvolto in un rinnovo del contratto precario. La Consulta dice no alle due previsioni; la Sardegna non è aiutata in questo caso dall’autonomia, perché lo statuto non ha disciplinato il tema, ma il punto è un altro. Le norme sulla stabilizzazione negli enti locali ignoravano qualsiasi passaggio selettivo, violando quindi gli articoli della Costituzione (3, 51 e 97) che impongono imparzialità, buon andamento e obbligo di concorso nella pubblica amministrazione. Prosegue intanto la storia infinita dei 22.500 precari degli enti locali siciliani in attesa di stabilizzazione. Della deroga al patto di stabilità che avrebbe aperto al posto fisso, chiesta a gran voce dal governatore Lombardo, non c’è traccia, ma ieri il senato ha approvato un emendamento alla manovra che permette un’altra proroga di un anno ai contratti.
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