Fin qui la macchina del Recovery Plan ha fatto partire 149 bandi per un valore complessivo che si avvicina ai 56 miliardi. Fra questi, 60 sono ancora aperti e muovono 40 miliardi. Il tutto in un anno che dopo i 51 obiettivi del 2021 legati alla rata da 24 miliardi in arrivo «nelle prossime settimane» vede in agenda 100 nuovi target (45 per i primi sei mesi, a cui sono collegati altri 20,1 miliardi) in un panorama in cui cresce il peso degli obiettivi quantitativi (17 contro i 2 dell’anno scorso) e le riforme mantengono il centro della scena con le nuove regole attese su appalti, carriera dei docenti e ripensamento della sanità territoriale. E con la spending review strutturale. Che a maggio sfocerà nel primo Dpcm con gli obiettivi di spesa 2023-25 per ogni ministero: mossa destinata a rivelarsi determinante in vista di una manovra 2023 che arriverà alla vigilia delle elezioni (salvo inciampi) ricca di richieste ma povera di risorse nella probabile assenza di spazi di deficit aggiuntivo.
La girandola di numeri e dati offerta ieri sera dal ministro dell’Economia Daniele Franco nell’audizione alle commissioni Bilancio di Camera e Senato rende bene la complessità dell’architettura del Recovery che si innerva in tutti i rami della Pubblica Amministrazione, centrale e locale. E che il ministero dell’Economia ha dettagliato in 7 documenti depositati ieri in Parlamento per fare il punto su obiettivi, riforme, bandi e iniziative di supporto per il PNRR.
La geografia delle risorse, al centro di polemiche periodiche sull’assetto dei singoli bandi, al momento riserva al Mezzogiorno il 45% dei fondi che hanno una destinazione territoriale, superando quindi con un buon margine la clausola del 40% fissata per rafforzare gli sforzi di coesione territoriale. Il problema sono i rischi di inattuazione. Nel question time pomeridiano Leu, per bocca di Stefano Fassina, aveva invitato Franco ad allestire fin da subito i poteri sostitutivi per gli enti territoriali in difficoltà. E in serata il ministro dell’Economia torna sul punto riconoscendo che sono i tempi di attuazione a rendere «complessa» la sfida del piano. Il problema è grosso negli enti locali, il cui ruolo «cresce molto» da quest’anno. Ma anche nella PA centrale il reclutamento inciampa un po’: fin qui sono stati assunti 383 dei 500 tecnici previsti anche per le molte «defezioni» dei candidati. «Un punto da migliorare», spiega Franco.
Proprio per provare a contenere i rischi gli investimenti del piano muovono una sorta di doppia onda. La prima è rappresentata dai progetti già presenti nella legislazione precedente e poi finanziati con le risorse del PNRR e del fondo complementare. La seconda è quella dei progetti nuovi. La prima, che vale 51 miliardi in tutto, domina la fase d’avvio e resta prevalente anche quest’anno, per lasciare progressivamente spazio alla seconda negli anni successivi. Su questo impianto domina la variabile del caro-energia. È presto per proporre «quantificazioni» sul futuro prossimo di questa voce, riconosce Franco, che ricorda la procedura di revisione prevista dalle regole Ue «nel caso sorgano elementi tali da mettere in discussione gli obiettivi del Piano». Ma per il titolare dei conti l’ipotesi non è trascurabile ma prematura. Si ridimensiona definitivamente invece l’altra variabile, sul ricalcolo dei fondi a giugno in base all’evoluzione dei dati sull’economia 2020-2021. La crescita più brillante del previsto realizzata in Italia l’anno scorso (+6,5%) per Franco porterà a una riduzione di 200 milioni nella quota italiana: poco più dell’1 per mille dei 193 miliardi indirizzati a Roma.
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