BRUXELLES – Quelli che gli hanno dedicato una pagina su Facebook, non hanno dubbi: «Dominique Baettig, un uomo, un mito! Per l’annessione del Varesotto alla Svizzera!». Ma lui, il «mito», 56 anni, 4 figli, due baffoni a manubrio, e in tasca la tessera della società di tiro con la pistola oltre a quella di deputato elvetico, si schermisce: «Annessione? Ma no, mai proposta! Io penso piuttosto a un partage de souverainité, una condivisione di sovranità e di valori culturali: non a una Svizzera imperialistica, ci mancherebbe. La mia voleva essere una specie di provocazione seriosa: non mi aspettavo una tale eco…». E però da giorni lo bombardano di messaggi, soprattutto dal Nord-Italia: perché Varese e Como, intese come province, e poi Aosta, Bolzano, le regioni francesi della Savoia e dell’Alsazia, quella austriaca del Vorarlberg e quella tedesca del Baden-Württemberg («o altre: lista aperta»), stavano tutte nella proposta presentata all’as-semblea federale dal deputato dell’Udc (Unione democratica di centro). Il testo chiedeva delle norme per «integrare quale nuovo cantone svizzero le regioni limitrofe, se auspicato dalla maggioranza della popolazione interessata», e visto che alcune «hanno già espresso tale desiderio in passato». Motivazione: «La mancanza di interesse della classe politica nazionale ed europea di cui soffrono» quelle regioni, «nonché la loro volontà di ottenere l’autonomia dallo Stato centrale (o da Bruxelles)». Risposta del Parlamento: no, sarebbe «un atto politico ostile che gli Stati vicini potrebbero considerare, a giusto titolo, provocatorio». Baettig non si dà per vinto. Ogni tanto, qualcuno in patria lo accusa di estremismo populista: e le accuse sono divenute bufera quando, l’anno scorso, lui ha partecipato al raduno del movimento «Blocco identitario», in Francia, dichiarando fra gli applausi che «i minareti sono oggetti fallici piantati come simbolo del potere maschile, sono una sorta di circoncisione». Durante lo stesso raduno, a ribadire ancora meglio il concetto, alcuni giovani aveva servito ai partecipanti «zuppa di lardo», accompagnata da manifesti in cui si garantiva che «del maiale non si butta via nulla». Nei discorsi della stessa riunione, anche appelli ripetuti a una «revisione della Storia». Alle critiche, divampate soprattutto dopo la sua partecipazione a questa iniziativa, il deputato risponde indirettamente ancora oggi con la sua pagina personale di Facebook, dove cita come icone il cantante tunisino Dhafer Youssef, o Robert De Niro (ma anche Christian Bouchet, etnologo francese studioso di sette neopagane e giudicato in passato vicino a movimenti di estrema destra come «Terza posizione»). Quanto alla «provocazione» di Baettig sugli «Stati Uniti di Svizzera», un sondaggio condotto dal settimanale Weltwoche nel Comasco e dintorni sembra dargli ragione: il 52% degli intervistati sarebbe pronto ad adottare la bandiera di Guglielmo Tell. Ma c’è anche una storia personale, a rafforzare certe motivazioni: «Ecco, io sono uno psichiatra – racconta Baettig dalla sua casa nel cantone del Giura – e da me vengono persone depresse, che hanno problemi di identità, o soffrono per una condizione di precarietà. Si parla, li si aiuta. Cercano chi li ascolti, si lavora sui sogni e sui pensieri. E anche in Europa, fatte le debite differenze, non è un po’ così? Certe regioni hanno problemi di identità, di radici, sentono minacciati i loro valori dal gigantismo dell’Europa…». Esistono due schieramenti, teorizza il dottore: «Gli euroturbo, che vogliono subito l’adesione alle Ue» e i contrari, «che sono maggioranza». Poi una terza via, la sua: «Un’idea comunitaria di nazione, attenta alle economie decentrate, di prossimità, e alle culture locali, un’idea che conservi le differenze e non aspetti passivamente che l’Europa ci mangi». Al-l’inizio, dice, «la bollavano come una follia», ma oggi i seguaci aumentano: «Niente annessioni, però: gli svizzeri non sono nazionalisti…».
Il «leghista» svizzero che vuole annettere Como
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