ROMA – Non così. Non in questo modo, addirittura costretti ad inseguire. Questo Silvio Berlusconi non se l’aspettava davvero. La débâcle di Milano, la sua città dove si è presentato come capolista, e il risultato non certo entusiasmante di Napoli, nonostante le promesse dell’ultimo giorno, sono state un’amara sorpresa per il premier, che oggi potrebbe subire un ulteriore shock: il numero delle preferenze per lui all’ombra della Madonnina sarebbe ben al di sotto delle 53mila conquistate l’ultima volta. Qualcuno nel Governo già parla di «un serio rischio di crisi», di un «Berlusconi che non tira più». Un’ipotesi che alla vigilia di questa tornata elettorale non veniva neppure presa in considerazione ma che i dati usciti dalle urne rendono invece temibile. Il «passaggio parlamentare», chiesto dal Capo dello Stato dopo l’ingresso dei responsabili nell’esecutivo e su cui oggi la capigruppo della Camera è chiamata a decidere tempi e modalità, si potrebbe così trasformare in una vera e propria verifica politica nella maggioranza. L’attenzione è concentrata sulla Lega, ma non solo. L’ascesa del Carroccio si è arrestata, anzi ci sono segnali di un’inversione di tendenza, segno – come viene riferito da via Bellerio – che non sempre l’alleanza con il Pdl paga. E non si tratta solo di alleanze sui candidati sindaci, ma anche su strategie politiche. Gli effetti si vedranno presto. Berlusconi alla vigilia del voto aveva promesso ai napoletani la sospensione per decreto delle demolizioni delle case abusive. Un impegno che a due settimane da un ballottaggio tutt’altro che facile (i voti di De Magistris e Morcone sommati superano quelli di Lettieri) potrebbe risultare determinante per la vittoria finale. Ma se già nei giorni scorsi Bossi sottovoce aveva fatto capire di non essere favorevole alla “sanatoria”, adesso il Senatur farà sentire il suo «no» a pieni polmoni. Così come sulla legge per aumentare le poltrone nell’esecutivo, altra promessa del premier per tener buoni i Responsabili rimasti fuori dall’ultimo rimpasto. Anche in questo caso la Lega è pronta a mettersi di traverso fin da subito. Ma nel mirino di Bossi c’è anche la riforma della giustizia e tutti i provvedimenti a corredo, dal processo breve a quello lungo (entrambi al Senato), senza dimenticare la legge anti-intercettazioni che il premier vorrebbe ritirare fuori. La Lega non è più disposta a concessioni. Il compromesso ottenuto sulla missione in Libia oggi difficilmente verrebbe sottoscritto. Ecco perché il «rischio crisi» diventa reale. «Non se lo possono permettere, perché hanno finito di cannibalizzarci, stavolta sono rimasti fermi», sostengono ai piani alti del Pdl, sottolineando lo stop di consensi al Carroccio a Milano, a Torino e il risultato assai sotto le aspettative in quel di Bologna, dove Bossi aveva imposto il proprio candidato. Nel Pdl non si nascondono la sconfitta. La imputano da un lato alla debolezza dei candidati (Moratti e Lettieri) ma anche alla campagna elettorale del Cavaliere e a quei consiglieri che sono «fedeli ma non leali», i quali non lo hanno «frenato» dal portare avanti una campagna elettorale tutta incentrata su stesso, sui processi, la magistratura rinunciando a dettare – come ha detto ieri sera a “Qui Radio Londra” Giuliano Ferrara – la sua agenda politica. Molti rimpiangono di aver tagliato i ponti con Casini (qualcuno perfino con Fini) scegliendo di rimpiazzarli con una pattuglia eterogenea ed elettoralmente debole come quella dei Responsabili: «Non è un caso se dove ci siamo alleati con l’Udc abbiamo vinto e subito…», si sottolinea con riferimento ad esempio a Caserta o in Calabria. Ma nel partito del premier c’è anche l’indice puntato contro la Lega. Bossi – sostengono – «ha giocato contro». La polemica sulla missione in Libia in piena campagna elettorale, i continui distinguo sui magistrati e l’appoggio ostentato alle prese di posizione del Capo dello Stato confermano la politica di «smarcamento» del Carroccio, sostengono i piediellini, che adesso si attendono un vero e proprio braccio di ferro tra il Premier e Bossi. Ecco perché il confronto parlamentare sull’ingresso dei Responsabili diventa un passaggio delicato e non scontato. Berlusconi ieri è rimasto chiuso ad Arcore. Se tra due settimane arriverà la certezza di aver perso Milano, «tutto può accadere».
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